Caro bollette e abbandono delle fonti fossili sono soltanto due tra le ragioni che spingono sempre più Comuni, imprese e associazioni di cittadini a optare per le comunità energetiche rinnovabili (CER). Si tratta infatti di una forma di produzione di energia che genera benefici multipli: taglio delle emissioni, risparmi in bolletta, accumulo, vendita alla rete della quota di energia autoprodotta in eccesso. In più, le comunità energetiche contribuiscono ad attivare processi di partecipazione diretta, a coinvolgere insomma i cittadini in azioni fondamentali per la vita e il benessere di tutti.

 

In Italia sono ancora poche, nell’ordine di alcune decine, a fronte ad esempio del centinaio tedesche, ma è forte la richiesta di informazioni pratiche su come funzionano, come costituirle, quali sono i requisiti per avviarle e quale l’iter burocratico per le autorizzazioni. Ecco alcune risposte a questi quesiti.

L’avvio della legge in Italia

In Italia sono arrivate con una prima sperimentazione introdotta dalla conversione in legge del decreto Milleprorghe 2019, poi ampliata con il recepimento della direttiva europea Red II, per far sì che, nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione sia almeno pari al 32%. In questo provvedimento si dispone per le comunità energetiche l’ampliamento del perimetro d’aggregazione e la rimozione del limite di 200 kW di potenza per gli impianti installati, che potranno arrivare fino a un massimo di un megawatt.

Una definizione di CER

La normativa più recente definisce le CER come associazioni costituite da enti pubblici locali, aziende, attività commerciali o cittadini privati, che decidono di dotarsi di infrastrutture per la produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili e l’autoconsumo, tramite un modello di condivisione. Sono, insomma “forme energetiche collaborative”, basate su un sistema di scambio locale. I loro obiettivi sono:

  •    la lotta allo spreco energetico
  •    la condivisione di energia a prezzi vantaggiosi
  •    la possibilità di ridurre notevolmente le emissioni di CO2

I componenti di una comunità energetica si possono suddividere in:

  •   prosumer: coloro che hanno installato un impianto con accumulo
  •   consumer: coloro che non hanno un sistema di produzione di energia, né un impianto privo di batteria, ma che intendono partecipare ai vantaggi della formula comunitaria

Come si forma una comunità energetica

Per fondare una comunità energetica, si parte dalla creazione di un soggetto giuridico (quale un’associazione, una cooperativa, ecc…) che rappresenti i futuri soci della comunità (persone fisiche, piccole o medie imprese, enti territoriali, amministrazioni pubbliche locali). Bisogna poi individuare l’area dove installare l’impianto (o gli impianti) di produzione, che si deve trovare in prossimità dei consumatori stessi.

 

Non è necessario che l’impianto sia di proprietà della comunità; può essere messo a disposizione da uno solo dei membri partecipanti o più di uno, se non addirittura da un soggetto terzo.

 

Infine, ogni membro della comunità deve installare uno smart meter; ovvero un contatore intelligente che riesce a rilevare in tempo reale le informazioni sulla produzione, l’autoconsumo, la cessione e il prelievo dalla rete dell’energia.

 

Come sottolinea l’Enea nel suo vademecum ci sono inoltre alcuni requisiti:  

  • La partecipazione alla comunità deve essere aperta e basata su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori. I partecipanti mantengono i loro diritti come clienti finali, compresi quelli di scegliere il proprio fornitore ed uscire dalla comunità quando lo desiderano
  • La comunità energetica rinnovabile deve essere formata dai consumatori ubicati nelle prossimità dell’impianto di generazione
  • Gli impianti devono avere potenza complessiva non superiore a 200 kW

Qual è la tecnologia necessaria

La prima cosa è verificare qual è la cabina elettrica a cui allacciarsi (sulla base del concetto di vicinanza indicato dalla legge, che considera “vicini” i titolari di connessioni su rete elettriche di bassa tensione alimentate dalla medesima cabina di trasformazione di media/bassa tensione).  Questa informazione viene fornita dal distributore competente, in genere attraverso posta certificata e dietro presentazione di una serie di documenti.

Il fulcro della autoproduzione sono poi impianti di energia rinnovabile, fotovoltaici o eolici. Tali impianti possono essere condivisi, come nel caso di una centrale fotovoltaica o eolica a disposizione della collettività, oppure individuali, come per esempio un sistema fotovoltaico installato sul tetto di una casa, di un’azienda, di una sede di un’amministrazione pubblica o di un condominio.

I consumer e i prosumer in quanto dotati di un proprio impianto per la generazione di energia elettrica per l’autoconsumo, possono poi cedere la parte di energia in eccesso agli altri soggetti collegati alla smart grid, cioè l’infrastruttura che collega tutti i soggetti della comunità energetica, che potrebbe comprendere anche sistemi evoluti di immagazzinaggio per l’accumulo dell’energia elettrica non immediatamente utilizzata. Ci sono poi molte tecnologie che facilitano il monitoraggio dei consumi e aiutano il risparmio di energia.


Come si distribuisce l’energia prodotta


Ogni comunità, attraverso la stipula di un contratto di diritto privato, stabilisce come ripartire fra i vari membri i ricavi derivanti dall’energia prodotta.

Come trovare i finanziamenti per una CER


Come accade per ogni associazione, i fondi possono essere reperiti attraverso azionariato popolare, con i soci che si quotano. Vista l’importanza assunta dalle CER, stanno anche nascendo strumenti bancari, prodotti creati soprattutto da istituti cooperativi di comunità, pensati proprio per l’acquisto di energia green in forma consortile.

 

C’è poi un beneficio tariffario per 20 anni gestito dal GSE (Gestore Servizi Energetici), con un corrispettivo unitario e una tariffa premio. Le CER godono poi di agevolazioni fiscali (detrazioni o superammortamento), con il recupero del 50% dei costi di realizzazione per i privati che realizzino un impianto fotovoltaico sul tetto di un edificio. Per le imprese è previsto il superammortamento del 130% del valore dell’investimento.

 

L’ultima normativa prevede che l’impianto oggetto delle agevolazioni debba essere di nuova costruzione, avere una potenza entro 200 kW ed essere collegato alla rete elettrica a media/bassa tensione, utilizzando la stessa cabina di trasformazione per il prelievo e la cessione dell’energia elettrica con la rete.

 

Il Pnrr destina circa 2 miliardi di euro di aiuti alle nuove comunità energetiche rinnovabili. La fase di sperimentazione delle Cer è partita all’inizio della pandemia, con il Milleproroghe del 2020. Alcune Regioni hanno inoltre istituito dei fondi appositi.

I nodi irrisolti dei passaggi burocratici

Per costituire una CER, una delle prime scelte fondamentali è la scelta del soggetto giuridico. La cooperativa prevede uno statuto, un referente unico per tutta la comunità e la registrazione davanti a un notaio ed è perciò più dispendiosa, ma tutela maggiormente i soci. L’associazione non riconosciuta sta prendendo piede velocemente, perché non serve un notaio, non servono ingenti costi di composizione, ma in caso di contenziosi o problemi agli impianti di produzione, che possono accadere per comunità con tanti partecipanti, la cooperativa rappresenta una sicurezza legale che esula da responsabilità penali.

 

Una volta definita la cabina alla quale allacciarsi si deve presentare la richiesta di riconoscimento della Comunità energetica al Gestore dei Servizi Energetici (GSE).

 

L’individuazione dei punti di connessione elettrica che determinano i limiti spaziali di una CER (cioè la rete pubblica alla quale allacciarsi) concessi dalla legge e l’inserimento dei dati sui vari portali autorizzati sono indicati dagli esperti come gli aspetti più farraginosi per l’avvio delle CER.

 

Nel settore (sono nate anche numerose società di consulenza per l’avvio delle CER) si lamenta anche che c’è ancora scarsa conoscenza dei vantaggi e delle possibilità offerte dalle comunità energetiche, perché, per esempio,  imprenditori, presidi delle scuole, titolari delle strutture ricettive, amministratori di condominio ancora non hanno capito come funzionano.

Molti denunciano poi le solite lungaggini nelle approvazioni dei progetti e chiedono una semplificazione delle procedure di autorizzazione e una accelerazione per la definizione dei decreti attuativi: oggi sono infatti necessari oltre 20 atti e pareri per procedere con le installazioni. L’approvazione di una serie di emendamenti al decreto Energia ha già introdotto una semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti con una potenza fino a 10 mw e ha anche esteso la possibilità di realizzare impianti per autoconsumo entro 10 chilometri dall’utenza.

 

Vengono chiesti inoltre interventi perché i Comuni fino a 10mila abitanti, e non solo quelli fino a 5mila, possano beneficiare delle risorse previste dal Pnrr per promuovere la costituzione delle comunità energetiche rinnovabili.