Sul gonfalone di Cervasca, in provincia di Cuneo, dovrebbe esserci una vacca da latte invece che un cervo reale. Perché proprio qui è stata realizzata la prima ecostalla italiana. “Si tratta di un progetto pilota iniziato nel 2013 in collaborazione con la Facoltà di Veterinaria dell’Università di Torino”, ci spiega Livio Bima di I Tesori della Terra, società cooperativa agricola sociale Onlus. “I risultati dello studio durato quattro anni sono stati superiori alle aspettative. Noi abbiamo proseguito e adesso superata anche la pandemia sarebbe importante scalare. Fare in modo che si diffonda”.

 

Già, ma cosa è esattamente una ecostalla? Tecnicamente si potrebbe considerare un modello di economia circolare, di allevamento eco-sostenibile, per di più totalmente smontabile. Una soluzione per migliorare il benessere animale e di conseguenza la qualità del latte prodotto.

“A volte i progetti nascono per esigenze che sembrano marginali. La gestione della deiezioni è poco nobile, ma in realtà negli allevamenti è un problema sia per l’ambiente che sotto il profilo del rispetto delle norme”, racconta Bima.

L’ecostalla, quasi un ambiente naturale

Le vacche da latte degli allevamenti normalmente vengono ospitate in strutture di grandi dimensioni che poggiano su una soletta in cemento. Nel migliore dei casi si parla di 6-7 metri quadrati per capo, mentre con l’ecostalla si arriva a 35 metri quadrati per capo. Senza contare la luminosità e l’arieggiamento che assicurano agli animali condizioni più sane e vicine a quelle naturali. “Il benessere degli animali ovviamente è legato anche allo spazio a disposizione, ma è cruciale anche il tema delle deiezioni ed è in questo che il nostro progetto fa la differenza”, sottolinea Bima.

Nelle stalle tradizionali le solette di cemento possono disporre di griglie o fessure che veicolano il letame in serbatoi. È una sorta di meccanismo di pulizia artificiale che apparentemente elimina un problema nella modalità più efficiente. Dopodiché ciò che viene raccolto in alcune stagioni viene impiegato immediatamente come concime sui campi, in altre stivato (fino a massimo 6 mesi) per attendere il periodo giusto.

Nell’ecostalla le vacche stanno in una lettiera alta circa 50 cm di compost, che quotidianamente viene solo rivoltata. È fatta di Forsu che non è altro che il digestato organico misto che producono i consorzi dei comuni per gestire l’umido cittadino. Una volta all’anno la lettiera viene sostituita e quella vecchia, poi distribuita sui campi come fertilizzante biologico. Inoltre l’ecostalla è priva di fondazioni cementizie e quindi consente in prospettiva di riconvertire l’appezzamento di terreno magari per altri usi agricoli. Insomma, anche il consumo del suolo viene azzerato.

Nel modello tradizionale il tema è solo di raccolta e allocazione, mentre in quello ecologico l’approccio è olistico. “Una lettiera permanente di questo tipo consente di avere uno strato organico morbido. Il primo risultato è che si riducono i rischi di patologie agli zoccoli. Il secondo è che con la movimentazione saltuaria e lo scalpiccio degli stessi capi, di fatto si ossigena il fondo assicurandone un’umidità di circa il 50%. E così i miliardi di batteri presenti nel compost e dovuti al letame stanno in equilibrio. Diciamo che i buoni tengono sotto controllo i cattivi, come in natura. Se non fosse così ci saremmo già estinti”, puntualizza Bima.

L’equilibrio incide positivamente sulla complessiva salute delle vacche, mantenendo sotto controllo anche le patologie che affliggono le mammelle. “Non era fra gli obiettivi ma abbiamo rilevato anche un aumento della produzione per singolo capo. Ovviamente a parità di alimento”, aggiunge l’associato della cooperativa.

Un modello da esportare

I Tesori della Terra è una cooperativa sociale agricola che oltre alla produzione di foraggi e orticoltura si occupa soprattutto della produzione e raccolta del latte (grazie a diversi soci), nonché della produzione di yogurt bio. Il caseificio trasforma circa 40/50 quintali di latte al giorno. L’ecostalla ospita una decina di vacche, mentre quella tradizionale una ventina. Il lavoro in fattoria è svolto per il 30% da lavoratori portatori di handicap. “Siamo convinti che camminando insieme, per diversamente abili e abili ci sia la possibilità e lo stimolo a fare le cose bene”, dice Bima. “È la natura dello stare insieme. E quello che si insegna la terra con la sua capacità di accogliere”.

L’ecostalla in fondo è in linea con questo spirito di rispetto della natura e i suoi equilibri. L’idea che possa essere smontata e rimontata in un altro luogo per non rischiare di alterare troppo la composizione e la ricchezza del terreno. “Per di più abbiamo scoperto che le fondazioni alternative con il legno sono ancora contemplate dalla legge. Forse non si può fare tutto, ma una stalla sì”, aggiunge Bima. Un altro vantaggio dell’ecostalla è che azzera i rischi di inquinare eventuali falde con i liquami.

“Questo è un prototipo, ma funziona. Manca solo un partner che ci aiuti a renderla più razionale per l’organizzazione del lavoro e compatibile con la dimensione commerciale. Negli Stati Uniti, in Olanda e soprattutto in Israele è già realtà. Sarebbe bello che si diffondesse anche nel nostro paese”, conclude Bima.