“I dati di per sé non significano nulla se non c’è qualcuno in grado di interpretarli. La scienza produce tonnellate di dati, ma gli interpreti dei dati sono gli umanisti”. Non ha dubbi Leonardo Caffo, filosofo, pensatore e autore di diversi libri che toccano argomenti relativi all’ambiente e alla sostenibilità, quando gli domandiamo se c’è ancora posto per i filosofi come lui in un momento in cui la parola d’ordine sia, da Greta in giù, in ambito ambientale, ma anche nel settore sanitario è “dobbiamo fidarci della scienza”.
Sembra che solo gli scienziati siano titolati a parlare e a indirizzare i comportamenti collettivi. Che la nostra salvezza come singoli e come specie sia nelle mani dei tecnici. Che ruolo può avere un filosofo su questi temi, quale contributo può dare?
“Sono completamente contrario a questa visione. In realtà il cambiamento generale delle cose non è in mano alla scienza, ma è in mano alla scienza alleata alle discipline umanistiche. Nello specifico, nella questione ecologica, gli interpreti dei dati sono i filosofi, soprattutto quelli specializzati nelle questioni morali, politiche o di sociologia generale. Il fatto che noi sappiamo quanti e quali processi siano più inquinanti, meno inquinanti, o da dove derivino le emissioni non ci dice niente su cosa significa interpretare i cambiamenti.
È chiaro che poi bisognerebbe mettersi d’accordo su che cosa significa filosofia. Se la filosofia è dire quello che ti passa per la testa allora no, ma ci sono fior fiore di filosofi che hanno trasmesso l’importanza dell’etica normativa, della filosofia morale, dell’altruismo efficace. È a loro che dobbiamo guardare nel momento in cui la scienza ci dà dei numeri. I numeri non sono nient’altro che numeri, sono le immagini che abbiamo dei numeri che diventano interessanti per noi”.
2031 Italian Tech Award, la lettera al futuro del filosofo Leonardo Caffo sugli errori da evitare
Recentemente ha scritto una Lettera al futuro, chiamata ”L’anno che vorrei, l’anno che verrà”, in cui scrive tra l’altro: “Vorrei un anno senza emissioni, avremo un anno con migliaia di tonnellate di CO2 emesse”. Introduce il tema dalla distanza tra quello che sappiamo di dover fare e quello che in realtà facciamo. Che cosa si porta dietro dal 2021 e quali sono le speranze per il prossimo anno?
“Mi porto dietro da un lato la sempre più urgente possibilità di mettere le questioni climatiche nell’agenda. Dall’altro però una scarsissima capacità di comunicarle con la dovuta urgenza concettuale. Per esempio, saper vendere la complessità della questione, le interrelazioni il fatto che anche cose che ci sembrano spuntate dal nulla come la pandemia derivano dal nostro cattivo rapporto con gli altri animali, da come non riusciamo a ridimensionare le infrastrutture.
Mi porto dietro un po’ di tristezza perché mi sembra che siamo ancora qui a discutere di evidenze ovvie, come se mettere o no tasse sulla plastica, o sulla produzione di inquinanti da parte di aziende non ecologiche. Penso che molti dei risultati dell’ultima conferenza sul clima siano stati estremamente deludenti, e d’altro canto tutto quello che dovremmo fare per cambiare riguardo agli indicatori dello stato di salute del pianeta rispetto alla nostra coesistenza è evidente, dal cambiamento della nostra alimentazione verso una dieta vegetale, alla fine della produzione di combustibili fossili, al cambiamento radicale della nostra capacità di movimento attraverso aeroplani…
Quindi se di positivo c’è l’urgenza oggi più chiara per cui nessuno fa niente se non è in una cornice climatica, dall’altro lato c’è ancora troppa retorica, troppa poca presa sul serio sul fatto che l’ecologia è un pensiero estremamente radicale e rivoluzionario e noi dovremmo cambiare sostanzialmente il 100% delle nostre azioni, e non agire in un generale greenwashing.
Per il 2022, quindi, spero che si prenda un po’ più sul serio la riflessione filosofica e scientifica sull’ecologia e un po’ meno quella normativa, che ci prende un po’ in giro perché la transizione ecologica è impossibile per esempio insieme alla transizione digitale: il digitale è uno degli strumenti più inquinanti di cui disponiamo, ma di questo si parla ancora pochissimo. Delle vere, grandi cause di inquinamento climatico, il digitale, la carne ecc. si parla troppo poco. Dobbiamo migliorare”.
Ha una figlia piccola. Come pensa che sarà il mondo quando lei avrà la tua età, tra una trentina d’anni? Cosa vorrebbe lasciarle?
“Mia figlia ha quasi due anni e non metterei la mano sul fuoco che tra trent’anni il mondo assomigli a quello che pensiamo noi. Ci sono stati dati 20 anni per invertire la rotta, ma abbiamo dati prescrittivi e descrittivi che vanno in collisione, in altre parole sappiamo che cosa dovremmo fare ma sappiamo anche che cosa faremo, e le due cose sono in contraddizione. E non si tratta di contraddizioni ‘facili’, ma contraddizioni appunto ancora una volta normative. Cioè non c’è nessun accordo su ‘ciò che si deve’ e ‘ciò che si fa’. E come se sapessimo che dobbiamo somministrare una terapia al paziente ma non gliela facciamo, anzi gli facciamo la terapia opposta.
Penso che mia figlia come tutti i piccolissimi sia davanti a un bivio: questo sistema così come lo abbiamo pensato deve collassare, prima collassa meglio sarà per loro. È paradossale, radicale, ma d’altronde un filosofo non è un politico, non è uno scienziato e talvolta ha il lusso della verità”.
Ha scritto molti libri che toccano temi di ambiente ed ecologia. L’ultimo, “Quattro capanne“, tratta di semplicità, di ritorno a una vita più semplice. Questo contrasta con il modello che ci viene proposto tutti i giorni. Posto che tornare ‘nella capanna’ è una cosa che non tutti possono permettersi, quale può essere una semplicità ‘sostenibile’, sia in senso ambientale sia in senso di ‘sopportabile’ per le nostre abitudini e la nostra cultura?
“Ovviamente la capanna è una metafora, anche se quelle di cui parlo nel libro sono realmente esistite. Ha a che fare con l’idea che purtroppo il futuro non sarà solo il tanto simpatico less is more, a cui ci ha abituato la speculazione architettonica, ma che togliere sarà molto più importante che riempire e saremo più felici, più ricchi e avremo progresso sulla base di quante saranno le cose di cui riusciremo a fare a meno, e non sulla base di quante cose avremo. Perché il sistema sta collassando da un pezzo, basta guardare al costo dei materiali, al prezzo di una risma di carta, a come sono aumentati i costi della materie prime.
“È tutto già qui. La semplicità è la semplificazione della filosofia, cioè di quante e quali cose abbiamo davvero bisogno. Anche dei bisogni secondari, non parlo solo di bisogni primari. Una cultura che riuscirà a insegnare il minimalismo a tutto tondo sarà una cultura in totale accordo col progresso, anche tecnologico. Non c’è uno iato tra queste due cose, ma l’idea dell’accumulo è finita. Lo abbiamo già visto con lo sharing, per cui la proprietà privata è passata in secondo piano, è iniziata la proprietà collettiva e di condivisione. La semplicità è il paradigma essenziale per cercare di portare avanti l’ecologia. Perché l’ecologia oggi non significa soltanto rispettare l’ambiente, ecologia significa anche avere meno cose, una lista limitata di beni essenziali, avere la capacità di stare nel proprio ambiente senza spostarsi in continuazione, è un programma di ricerca”.
Un filosofo da leggere per il 2022?
“Graham Priest, per imparare a ragionare”.