Le questioni ambientali si intrecciano con quelle di salute e sociali, e non potrebbe essere diversamente. Così che anche i discorsi sulle transizione ecologica oggi chiamano in causa la pandemia e la guerra in Ucraina. Non fa eccezione il report appena diffuso dalla KU Leuven, università belga, e da Eurometaux, associazione europea di produttori e riciclatori di metalli, che mette nero su bianco le difficoltà che dovremmo affrontare per trasformare il panorama energetico, e raggiungere l’ambizioso obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, come scommesso dal Green Deal Europeo. La transizione energetica europea sarà decisamente metals intensive, riassumono gli autori del report in maniera piuttosto eloquente.

Avremo bisogno di metalli, tanti, e trovarli non sarà facile, specialmente nel contesto globale attuale, sotto la minaccia ancora della pandemia e della guerra in Ucraina, che hanno messo in crisi i mercati e le catene di rifornimento.

La premessa del report è questa: una transizione energetica che miri a liberarsi dalle fonti fossili, scommettendo su veicoli elettrici, batterie, fotovoltaico, eolico e idrogeno, richiede la disponibilità di diversi metalli, terre rare comprese.

Alluminio, rame, zinco, silicio, nichel, cobalto, neodimio, praseodimio, cromo, molibdeno, manganese, e tanti altri: chi più, chi meno, sono e saranno necessari per onorare la scommessa sulle tecnologie verdi. Quanti esattamente? Il report della KU Leuven e di Eurometaux ha calcolato quanto, stimando sia l’aumento della domanda di metalli per i vari settori che per i singoli elementi. Così, si legge, entro il 2050 per esempio, dovremmo aver bisogno di:

  • 30-35% in più di alluminio e rame;
  • 45% in più di silicio;
  • 11% in più di zinco.

Ma le percentuali si impennano quando le stime riguardano le necessità da soddisfare per la produzione domestica di batterie: servirà:

  • 103% in più di nickel;
  • 331% in più di cobalto;
  • 3535% in più di litio.

Non scherzano anche le terre rare:

  • 2666% in più di disprosio;
  • 827% in più di neodimio;
  • 527% in più di praseodimio.

     

Ma i numeri in sé dicono poco. Oltre a sottolineare genericamente che per realizzare la rivoluzione green promessa serviranno molti più metalli di quanti ne servano ora, i numeri servono per fare dei piani e indirizzare sulle misure da prendere per far fronte agli impegni presi.

Le possibili soluzioni contano più azioni: nei primi anni di questa transizione energetica, scrivono gli esperti, la strategie principale sarà quella di puntare sulle importazioni ancora (che per l’Europa arrivano oggi da tutto il mondo, dal Sudamerica, all’Africa, all’Asia, alla Russia) e sulla produzione domestica, potenziando le attività di estrazione e raffinazione, non particolarmente sviluppate, anzi. I piani però al riguardo partono da condizioni difficili (non ci sono al momento per esempio capacità minerarie e di raffinazione per litio e terre rare, ribadiscono gli autori) sono piuttosto incerti, hanno tempi lunghi di realizzazione e ostacoli non facili da superare (come opposizioni locali e permessi).

Senza considerare l’attuale crisi energetica preoccupante, con l’aumento dei prezzi, rincarano gli esperti. Ma unitamente alle attività di riciclo, a minor impatto in termini di emissioni, e su cui puntare soprattutto in una seconda fase, sono queste le azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi per il 2050. Ora o nei prossimi due anni, ammoniscono gli esperti, non tra decenni.