Luci sugli oceani. L’impatto è evocativo, quasi poetico, fa subito pensare a suggestive scie luminose che sembrano aprire cammini sull’acqua. E invece è una tragedia, come dimostra il primo “atlante globale dell’inquinamento luminoso negli oceani“, realizzato dai ricercatori dell’università della California, nell’ambito degli studi sull’impatto che le luci artificali determinano di notte sugli ecosistemi marini. Le conclusioni alle quali arriva lo studio sono davvero preoccupanti, perché si dimostra che zone sempre più estese dei nostri mari subiscono gli effetti delle luci artificiali delle attività e degli insediamenti umani. E questi effetti, insieme alla luce, si sentono anche a notevoli profondità.
A causare l’inquinamento luminoso sono fasce costiere su cui si concentrano gli insediamenti urbani, oppure, anche a migliaia di chilometri dalle coste, le piattaforme offshore di estrazione petrolifera. Le luci che squarciano il cielo come il mare possono cambiare i comportamenti delle creature che lo abitano e differenze regionali o stagionali, come le fioriture di fitoplancton o i sedimenti dei fiumi, possono influenzare anche la profondità a cui penetra la luce, aumentandone gli effetti.
“Il 21° secolo vedrà un drammatico aumento dell’urbanizzazione costiera e delle infrastrutture offshore. – scrivono i ricercatori nell’introduzione al loro lavoro – L’illuminazione dai centri urbani costieri, dalle piattaforme petrolifere e da altre strutture offshore si disperde nell’atmosfera per formare un bagliore diffuso artificiale, che aumenta l’estensione dell’inquinamento luminoso dalla fonte a centinaia di chilometri negli habitat marini circostanti“.
“Una delle dimostrazioni più chiare che siamo entrati in un’altra epoca, l’urbanocene – notano ancora – è la prevalenza di luce artificiale notturna visibile dallo spazio“. I ricercatori spiegano poi che per realizzare il loro atlante e valutare dove il bagliore è più forte hanno messo insieme un atlante mondiale della luminosità del cielo notturno artificiale creato nel 2016 con dati sull’oceano e sull’atmosfera. Tali dati includono misure di bordo della luce artificiale, dati satellitari raccolti mensilmente dal 1998 al 2017 per stimare la prevalenza di fitoplancton e sedimenti che disperdono la luce, e simulazioni al computer di come le diverse lunghezze d’onda della luce si muovono attraverso l’acqua.
Non tutte le specie sono ugualmente sensibili alla luce, quindi per valutare l’impatto il team si è concentrato sui copepodi, onnipresenti creature simili a gamberi che sono una parte fondamentale di molte reti alimentari oceaniche. Come altri minuscoli zooplancton, i copepodi usano il sole o la luna invernale come punto di riferimento per immergersi in massa nelle oscure profondità, cercando sicurezza dai predatori di superficie.
Lo studio dimostra poi che la luce notturna emessa da noi umani ha il maggior impatto nell’acqua fino a un metro di profondità, dove la luce artificiale è abbastanza intensa da causare una risposta biologica in quasi 2 milioni di chilometri quadrati di oceano, un’area approssimativamente quella del Messico. Venti metri più in basso, l’area totale colpita si riduce di oltre la metà, a 840.000 chilometri quadrati.
“Ci sono evidenze sempre più accurate dei potenziali impatti delle luci artificiali notturne sulle filogenesi marine e tutti i livelli di organizzazione biologica – concludono i ricercatori – L’inquinamento luminoso influisce su molteplici aspetti della storia della vita degli organismi marini, tra cui un ridotto successo riproduttivo, una migrazione interrotta, una selezione delle specie alterata e un alterato equilibrio delle interazioni tra specie. Il nostro atlante è il primo a quantificare la prevalenza spaziale e temporale globale delle luci artificiali notturne biologicamente importanti negli habitat sottomarini”. L’atlante ha numerose applicazioni potenziali nella progettazione di esperimenti ecologici, biogeografia e conservazione.