Sono centinaia: sgargianti e rumorosi, prendono d’assalto gli orti della zona e catturano l’attenzione, soprattutto dei bambini. Ma sono, soprattutto, alieni. Perché i parrocchetti monaci che popolano la Puglia, distribuendosi a macchia d’olio a partire da qualche incauto rilascio, sono una presenza alloctona. Il cui impatto sugli ecosistemi è significativo. Ora, per mappare i singoli individui e per redigere una sorta di “catasto online” dei loro voluminosi nidi (ceste di rami intrecciati che possono superare i 130 kg di peso, gravando su alberi inadatti a sorreggerli) scendono in campo – a partire da Molfetta – i cittadini. Chiamati a raccolta dal progetto “Parrocchetti di Puglia”, nato da una serie di associazioni (Terrae, Vivarch, Lipu e Ardea): basterà fotografare i pappagalli, facilmente riconoscibili per la livrea verde sgargiante e la pettorina grigia, o anche semplicemente i loro nidi  e condividere l’osservazione sull’app iNaturalist, del tutto gratuita. Servirà a individuare le aree di nidificazione e stimare il numero di colonie presenti.


“Disegnando i potenziali fronti di espansione della specie, che è segnalata in questo angolo di Puglia da oltre vent’anni, comprendendo la velocità con cui si riproduce e la capacità di convivenza con le altre specie e con il territorio agricolo in particolare”, spiega Caterina Roselli, assessora con delega all’ambiente per il Comune di Molfetta.

Ancora una volta è la cosiddetta citizen science, dunque, a tendere una mano alla ricerca: ci saranno giornate di sensibilizzazione e iniziative a tema e intanto prenderà forma, tassello dopo tassello, un primo censimento del Myiopsitta monachus, che a Molfetta affolla da tempo i parchi urbani, a cominciare da Lama Martina, e che si è abbondantemente diffuso in una parte consistente della Puglia.

“Tra le conseguenze significative della sua proliferazione in città ci sono il disturbo diffuso ai cittadini, con le continue vocalizzazioni dei pappagalli, e i danni gli orti, ma anche l’indebolimento del patrimonio arboreo, su cui gravano i nidi dei parrocchetti”, spiega l’ornitologo Rosario Balestrieri, tra i ricercatori coinvolti nell’iniziativa. “Nel 2010 è stata individuata, nella sola Molfetta (ma, con il territorio metropolitano di Bari, anche l’area della provincia Barletta-Andria-Trani è interessata dal fenomeno, ndr) una popolazione di oltre 700 individui. – prosegue – Crediamo che il progetto appena avviato ne censirà ormai diverse migliaia”.

Non un caso isolato, quello pugliese. “Tutt’altro”, annuisce Leonardo Ancillotto, che partecipa al progetto con l’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IRET). “Nel panorama italiano, nuclei di parrocchetti monaco sono sparsi un po’ lungo tutta la Penisola, da Milano a Bari appunto, con colonie anche sulle isole, da Cagliari a Catania, anche se la popolazione più numerosa è certamente quella di Roma, per la quale nel 2021 abbiamo stimato la presenza di poco meno di 6mila individui (ancora di più sono i  parrocchetti dal collare, ndr), un numero certamente inferiore a quello reale e oggi certamente già da aggiornare, vista la crescita vertiginosa degli ultimi anni”.

Che impatto hanno sul territorio?

Intanto, sull’impatto di una specie aliena così consistente da un punto di vista numerico  il dibattito è aperto. “Sappiamo ancora poco su come queste popolazioni influenzino l’ecosistema, soprattutto per quanto riguarda la biodiversità locale, ma è possibile che possano influenzare negativamente alcune specie vegetali autoctone, danneggiando la pianta e andando a consumarne i semi.

Quello che invece sappiamo, soprattutto dalle esperienze in città dove le popolazioni di parrocchetti sono diventate particolarmente numerose, è che il parrocchetto monaco è un vorace consumatore di piante coltivate, provocando perdite anche particolarmente rilevanti –  oltre il 50% – a piccole e medie produzioni di ortaggi e alberi da frutto. In questo senso, rappresenta quindi una minaccia quantomeno economica, soprattutto a livello locale, nei confronti di attività agricole urbane o adiacenti al territorio cittadino. Danni ulteriori possono essere provocati da questa specie alle alberature ornamentali dalle quali spesso va a prelevare ramoscelli per la costruzione dei nidi, che a loro volta possono arrivare ad un peso tale da spezzare i grandi rami su cui poggiano – con ovvie conseguenze per la salute della pianta e per la sicurezza pubblica dei cittadini –  e ad altre infrastrutture – quando ad esempio il nido viene costruito su antenne e pali della luce”.

Si può porre un freno al boom dei pappagalli?

A censimento ultimato, certo, resterà l’interrogativo di fondo: come intervenire per porre fine alla proliferazione della specie? “Attualmente – spiega Ancillotto – non esiste una strategia condivisa a livello europeo per la gestione di questi animali nei luoghi di introduzione, ma la raccomandazione agli Stati è, intanto, quella di prevenire ulteriori introduzioni. La Spagna, ad esempio, ha recentemente bandito la detenzione ed il commercio della specie in toto. Nella maggior parte dei casi le popolazioni sono talmente abbondanti e diffuse che risulta difficile mettere in pratica qualsivoglia modalità gestionale, per cui probabilmente la via più praticabile è quella del non favorirne la proliferazione almeno dal punto di vista alimentare, sensibilizzando la cittadinanza affinché non alimenti i parrocchetti, e disincentivando la formazione di nuove colonie attraverso la rimozione di nuovi nidi in costruzione  – eliminandoli quindi prima che avvenga la riproduzione – in modo da ridurre la velocità di espansione della specie sul territorio. In tal senso – conclude il ricercatore – la ‘sorveglianza’ partecipata dei cittadini è uno strumento fondamentale per monitorare la specie ed eventualmente contribuire non solo alle conoscenze scientifiche, ma anche alla possibile gestione di questa specie problematica”.

Cittadini “alleati” per leggere le invasioni aliene

E non è la prima volta che la citizen science scende in campo per monitorare – con efficacia – la diffusione di specie aliene sul territorio nazionale. Tra questi, “AlienFish”, che chiede a cittadini e pescatori di condividere osservazioni, nei mari italiani, di esemplari di specie come il pesce palla maculato, il pesce scorpione, il pesce coniglio scuro e il pesce coniglio striato. “Con risultati più che incoraggianti”, come conferma il responsabile Francesco Tiralongo, ricercatore al dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania.

E un progetto che ha registrato un notevole coinvolgimento della popolazione si chiama “Scienza Aperta”: lo ha ideato il Laboratorio di Genetica e Controllo degli Insetti Vettori del Dipartimento di Biologia dell’università Federico II di Napoli e mira a liberare l’isola di Procida dalla zanzara tigre, specie infestante. Inserito nel programma di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022, il progetto – nel cui ambito saranno rilasciati maschi sterili sul territorio, allevati in laboratorio – è partito con una prima fase di censimento della popolazione dell’insetto nocivo. Per farlo, i cittadini isolani hanno installato nei loro giardini 500 ‘gravitrappole’, dispositivi in grado di catturare le zanzare per la fase di censimento. Condividendo le “catture” con i ricercatori: una ricompensa simbolica, per il loro contributo, è arrivata da una serie di cadeaux realizzati dagli studenti del laboratorio di Nuove Tecnologie dell’Arte (NTA) dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.