Almeno 216 milioni di persone nel mondo entro il 2050 saranno costretti a lasciare la propria casa per colpa del cambiamento climatico. Un dramma globale emerso dall’ultimo rapporto reso noto dalla Banca Mondiale, che ha messo in relazione gli spostamenti della popolazioni con l’impatto che avranno sui mezzi di sussistenza delle persone e la perdita di vivibilità di luoghi esposti a eventi climatici estremi. Entro il 2050, si legge, l’Africa subsahariana potrebbe contare fino a 86 milioni di migranti climatici interni e 19 milioni il Nord Africa. In Asia orientale e Pacifico si stimano 49 milioni, 40 milioni per le aree asiatiche meridionali.  Considerazioni che hanno portato alla nuova ricerca di ActionAid  “Il cambiamento climatico non conosce frontiere”, che analizza gli aspetti giuridici, normativi della mobilità umana legata ai disastri naturali, al degrado ambientale e al clima. Un’analisi condotta in occasione della Giornata mondiale del rifugiato e che mette in luce come Unione europea e Italia non riconoscano la necessità di garantire maggiore protezione a chi si sposta e si sposterà per fuggire da luoghi divenuti invivibili. Per ActionAid c’è solo una strada: “L’Italia deve rafforzare la protezione per chi si muove in risposta ai disastri, al cambiamento climatico e al degrado ambientale”. L’unica possibilità per mettere in sicurezza chi scappa da alluvioni e siccità è ampliare per queste popolazioni il permesso di soggiorno, includere tra le motivazioni quello per calamità.

L’indagine in Gambia

È uno dei Paesi africani dove la migrazione interna e internazionale è più forte e la crisi climatica mostra i suoi segni attraverso siccità, desertificazione, salinizzazione ed erosione del suolo. ActionAid fa notare che “in Paesi come il Gambia, dove il 65% della popolazione vive nelle aree urbane e dove la povertà generalizzata, la disoccupazione, il declino del turismo e dell’agricoltura sono determinanti per la spinta alla migrazione, è necessario rafforzare le strategie di adattamento climatico e ambientale, sostenendo coloro che decidono di rimanere nel luogo di origine, ma, allo stesso tempo, proteggere e supportare chi decide o è costretto a spostarsi verso i centri urbani o al di fuori del Paese, massimizzando così il potenziale della migrazione come strategia di adattamento”. 

Clima: fattore di vulnerabilità

Il rapporto ricorda che la crisi climatica è uno dei fattori di vulnerabilità che influenza le decisioni migratorie di milioni di persone del pianeta: movimenti dalle campagne ai centri urbani, spostamenti interni ai paesi, fino alle migrazioni internazionali. Un fattore destinato a contare sempre di più con l’inasprirsi dell’impatto degli eventi ambientali estremi improvvisi e progressivi. Siccità, ondate di calore, inondazioni e tempeste stanno causando devastanti conseguenze sociali ed economiche, costringendo la metà della popolazione mondiale a fronteggiare difficoltà nell’accesso all’acqua, riduzioni della produttività agricola e il deterioramento e l’erosione dei mezzi di sussistenza. Se i fattori ambientali sono identificati come minacce o “moltiplicatori di vulnerabilità”, capaci di esacerbare condizioni di iniquità preesistenti, come si decide di migrare o restare? Nella ricerca ActionAid mostra come le disuguaglianze e le dinamiche di potere esistenti svolgono un ruolo determinante nel risultato del percorso migratorio, influenzandone la destinazione, la durata e le condizioni.

 

Roberto Sensi, policy advisor global inequality ActionAid Italia, denuncia: “La governance internazionale delle migrazioni è il risultato di profonde disuguaglianze economiche e sociali. In questo contesto, gli interessi degli stati prevalgono sui diritti umani. La risposta alle migrazioni climatiche risente di questo approccio, focalizzandosi esclusivamente sulla dimensione esterna, trascurando l’ampliamento della protezione legale interna come efficace intervento a sostengo della migrazione come forma adattamento ai cambiamenti climatici”.

Il Patto sulla migrazione e sull’asilo

Oggi non esiste una protezione umanitaria stabilita dal quadro giuridico europeo per i migranti climatici. L’Unione Europea sotto la presidenza di Ursula Von Der Leyen, secondo ActionAid, “ha creato una separazione distinguendo nettamente le iniziative del Green Deal Europeo dalla governance della migrazione e dell’asilo attraverso il Nuovo Patto sulla Migrazione e sull’Asilo. Il Patto menziona il cambiamento climatico tra le maggiori sfide globali che caratterizzano il presente e il futuro dei flussi migratori, senza tuttavia adottare impegni concreti”. 

 

In Italia

Attualmente la protezione per coloro che sono costretti a fuggire a causa di fattori climatici ed ambientali è affidata alla competenza nazionale. In Italia, nonostante le modifiche alle norme sul diritto d’asilo apportate dal 2018 in poi la protezione temporanea – che fornisce protezione collettiva e temporanea “per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea”- viene affiancata proprio nel 2018 da uno strumento specifico e individuale, il Permesso di soggiorno per calamità, che fornisce protezione a chi fugge per cause climatico-ambientali di migrazione. Il Governo Meloni elimina la possibilità di convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro quello ottenuto per calamità e limita le possibilità di rinnovo, garantendo un livello minimo di protezione e non lascia spazio per una maggiore permanenza del beneficiario sul territorio nazionale. Nelle raccomandazioni del report ActionAid chiede al Governo italiano di rafforzare e ampliare questo strumento per dare protezione ampia a chi arriva in Italia per motivazioni legate a disastri e crisi climatica.