Nell’ultimo quarto di secolo l’Europa ha fatto grandi progressi nelle rinnovabili. Eppure la Ue resta, tra le grandi economie globali, quella più dipendente dall’estero per quanto riguarda il soddisfacimento del proprio fabbisogno energetico. I Paesi dell’Unione infatti importano il 58,3% dell’energia o delle materie prime necessarie alla sua produzione, il dato scende al 20% per la Cina ed è pari a zero per gli Stati Uniti, che sono totalmente autosufficienti nella produzione rispetto al fabbisogno energetico. Anche se le rinnovabili europee dal 2000 a oggi sono passare dal 15% al 45% del totale del mix di generazione di energia elettrica. E’ questo contrasto il dato più appariscente del sesto rapporto annuale Med & Italian Energy Report, presentato oggi dal Politecnico di Torino e da Intesa Sanpaolo al Parlamento Europeo.
L’analisi, ricostruisce le ormai note ragioni storiche della mancata autosufficienza energetica europea, e racconta l’evoluzione (lenta ma incoraggiante degli ultimi anni). “Guardando specificatamente alla produzione di energia elettrica, è in corso da oltre un ventennio un’importante modifica del mix europeo di generazione”, si legge nel rapporto. “L’uso del carbone è diminuito drasticamente dal 32% del 2000 a circa il 12% (ultimi dati disponibili) mentre è leggermente aumentata la quota del gas naturale dal 12% al 17%”. A dominare oggi sono le energie rinnovabili, passate appunto dal 15% del 2000 all’attuale 45%. “Ci si aspetta un ritmo di espansione dell’elettricità da rinnovabili più che doppio entro il 2030”. In questo percorso di diversificazione la Spagna si conferma il Paese più virtuoso: “Presenta un mix più equilibrato e con il più alto peso delle rinnovabili che arrivano al 51% del totale nel 2023”. La Germania invece “è il Paese con il più elevato utilizzo di carbone (26% del totale), anche se in forte riduzione. In Francia il mix energetico è dominato dal nucleare (64% del totale)”. E l’Italia? “E’ il Paese con il maggior grado di dipendenza energetica, pari al 74,8%, ben sopra la media europea”. Un valore però in calo di quasi tre punti percentuali rispetto al dato del 2019 (pre-Covid) quando la dipendenza era pari al 77,5%. “La Francia è il Paese con il minor grado di dipendenza pari al 44,8% grazie all’uso del nucleare”.
Comunque incoraggianti i dati sulla ripartenza delle rinnovabili italiane dopo un periodo di stallo: “Molto positivo è l’andamento del fotovoltaico: +19,3% sul 2023. Un record di produzione che ha consentito di soddisfare l’11,5% della domanda del 2024. Nel complesso l’incremento di fotovoltaico ed eolico è pari ad un +8,4% sul 2023. Insieme hanno coperto il 18,6% del fabbisogno elettrico nazionale”. Da qui l’auspicio degli esperti del Politecnico di Torino: “L’aumento della produzione rinnovabile è la strada da seguire per affrancare l’Italia dalla dipendenza dalle importazioni di gas. Gli ultimi dati di Terna per il 2024 evidenziano che la quota dell’energia rinnovabile sulla produzione totale di energia elettrica è arrivata al 41,2%, il massimo di sempre. Il divario con gli obiettivi intermedi del 2025 (48%) e del 2030 (65%) previsti dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) richiede un forte impegno”.
E tuttavia lo scenario internazionale sembra spingere verso una crescita del consumo di combustibili, sia in Italia che in Europa. In attesa di vedere come evolveranno il conflitto in Ucraina e quello in Medioriente, c’è comunque la nuova Amministrazione di Washington a influire sulle politiche energetiche del Vecchio Continente. “Aumenterà con Trump la spinta a vendere più petrolio e gas degli Usa all’Europa che già nel corso degli ultimi anni ha aumentato le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti”, si legge nel rapporto del Politecnico. “Se nel 2021 pesavano per il 27%, la quota è cresciuta al 41% l’anno successivo, arrivando al 48% sul totale del Gol importato dall’Europa nei primi mesi del 2024”. Un focus specifico è quello dedicato al Mediterraneo, le cui sponde nord e sud confermano la loro asimmetria: la prima importa combustibili fossili e parallelamente impianta rinnovabili, la seconda esporta petrolio e gas, mentre arranca su eolico e fotovoltaico. Guardando al futuro, “diverse opportunità sono legate allo sviluppo di idrogeno verde nei Paesi della sponda Sud, i cui Paesi costieri possiedono un potenziale significativo non solo per la disponibilità di acqua ed energia, ma anche per l’esistenza di infrastrutture portuali, che potrebbero produrre e stoccare idrogeno verde, da esportare verso l’Europa”. “L’Italia in prima fila nello sviluppo del nuovo modello del porto come polo di sviluppo energetico… Si configurano nuovi modelli di gestione dei porti che stanno diventando hub energetici, i cosiddetti green port”. Anche se di green, per ora, c’è ben poco, come ammette il rapporto: “Diversi porti italiani figurano nella top 10 dei principali porti energy dell’area Med, con un ruolo rilevante soprattutto per il trade di petrolio e derivati. Per il greggio: Trieste (38 milioni di tonnellate movimentate), Augusta e Sarroch (12 milioni di tonnellate movimentate ciascuna); Augusta (9,5 milioni di tonnellate) e Sarroch (7,8 milioni di tonnellate) per i prodotti petroliferi raffinati; Napoli per il gas (1 milione di tonnellate); Porto Levante-Rovigo (6,4 milioni di tonnellate) e Piombino (2,4 milioni di tonnellate) per il Gnl”. Per analizzare e comprendere gli impatti di questi fenomeni, SRM (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) e ESL@energycenter Lab del Politecnico di Torino stanno implementando una piattaforma interattiva denominata ENEMED Platform che consente di eseguire analisi e ottenere informazioni aggiornate sui flussi energetici dei Paesi dell’area Euro-Mediterranea. Una prima dimostrazione di ENEMED – Plat è stata effettuata al Parlamento Europeo proprio in occasione della Conferenza di presentazione del sesto rapporto Med & Italian Energy Report, che è stato elaborato anche con l’utilizzo della piattaforma.