ROMA – “Quello che è successo a Tonga, pur non avendo niente a che fare con il cambiamento climatico, rappresenta l’ennesimo campanello di allarme. La vulnerabilità degli Stati insulari è impressionante e oggi viene evidenziata da una eruzione vulcanica. Ma abbiamo ormai l’assoluta certezza scientifica del fatto che il riscaldamento del Pianeta, con il conseguente innalzamento dei mari, avrà ripercussioni innanzitutto su quelle nazioni, mettendone a rischio l’esistenza”. Alessandro Modiano è il nuovo Inviato speciale per il clima del governo italiano. E in questa prima intervista, concessa a Repubblica, parte proprio da Tonga per fare il punto sull’agenda della politica climatica nel 2022. “La tragedia di queste ore ci fa capire che in quell’area del Pianeta bisogna agire in modo più efficace e urgente di quanto non si sia fatto finora. Ed è fondamentale il ruolo dei Paesi che sono in grado di allocare risorse finanziarie, perché altrimenti il rischio è che a pagare il prezzo più alto al global warming saranno coloro che hanno inquinato di meno”.
La nomina di Modiano è stata ufficializzata alla fine della settimana scorsa, dopo mesi di stallo. L’annuncio della istituzione da parte del ministero degli Esteri di un Inviato speciale per il clima risale infatti a giugno, con tanto di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Poi però ci sono voluti sei mesi per individuare la persona giusta. Alla fine, il titolare della Farnesina Luigi Di Maio e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che nel frattempo ha continuato a rappresentare l’Italia negli incontri internazionali dedicati al clima, a cominciare dalla Cop26 di Glasgow, hanno trovato un accordo sul nome di Modiano. Il diplomatico, che da metà anni Novanta al 2016, ha ricoperto incarichi nelle ambasciate italiane di Santiago del Cile, Pretoria, Buenos Aires, Il Cairo, nell’ultimo periodo è stato vice direttore generale per la Mondializzazione e le questioni globali presso la Farnesina. Che ora lascerà per traslocare al Mite, dove assumerà l’incarico di Direttore generale per l’attività europea e internazionale.
Dottor Modiano, d’ora in poi rappresenterà l’Italia nei grandi consessi internazionali dedicati al clima? Sarà il capo della delegazione del nostro governo alla Cop27 che si terrà in Egitto?
“In genere alle Cop il capo delegazione è il ministro dell’Ambiente o, nel caso italiano attuale, il ministro della Transizione ecologica, come infatti è accaduto a Glasgow. La mia figura garantirà continuità: una Cop dura 12 giorni, a volte anche di più: un ministro non può sedersi a un tavolo di trattative per due settimane. L’Inviato speciale, che è una diretta emanazione del governo italiano, rappresenterà la posizione italiana in assenza del capo politico della delegazione”.
In altri Paesi l’Inviato speciale per il clima ha un ruolo politico, basti pensare al suo omologo statunitense John Kerry, che viene spesso definito “zar” o “plenipotenziario”. Lei che mandato ha? Come intende il suo ruolo?
“La decisione di avere un inviato speciale per il clima risponde a una esigenza ormai fondamentale: portare sui tavoli dei negoziati internazionali una visione e una posizione che faccia la sintesi di tutte le varie filiere che in Italia si occupano di cambiamento climatico. L’idea è avere un terminale che garantisca una posizione chiara e univoca del governo. E da questo punto di vista, è fondamentale sottolineare l’importanza della sinergia fra i due ministeri: il Maeci che ha più capacità di negoziare sui tavoli internazionali, il Mite che dispone delle competenze tecniche per poter sostenere la posizione italiana su questi tavoli”.
Lei sarà quindi il capo della diplomazia climatica italiana. Ma nel Regno Unito i diplomatici che si occupano di riscaldamento globale sono 150, in Italia si contano sulle dita di una mano. Punta ad avere uno staff più numeroso?
“Va detto che il nutrito team del governo britannico ha molto a che fare con la recente presidenza di Cop26. Io non sono particolarmente attratto dai numeri e penso che squadre non necessariamente folte ma ben preparate e ben motivate possono dare comunque ottimi risultati. È vero però che il tema della diplomazia climatica è ormai irrinunciabile. In occasione del varo del Green Deal Europeo è stato detto ai governi membri della Ue che una componente di diplomazia climatica deve entrare anche in tutti gli incontri bilaterali del ministro degli Esteri o del presidente del Consiglio”.
Ha fatto cenno alla “filiere” che in Italia si occupano di cambiamento climatico. Tra queste ci sono le grandi società energetiche partecipate, che spesso hanno attività in altri Paesi. Come si concilia la diplomazia climatica con la difesa degli interessi di aziende italiane che magari si occupano di combustibili fossili?
“Non è facile trovare il punto di equilibrio. Però Enel è un campione di energia rinnovabile in giro per il mondo e questo è un punto a favore del sistema Italia. Più in generale, tutte le grandi aziende italiane hanno programmi molto significativi per l’individuazione di energie rinnovabili e per la conversione nel lungo periodo. C’è un impegno europeo a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, i governi investiranno in quella direzione e i grandi gruppi ne sono perfettamente consapevoli”.
A proposito di Europa, in queste ore i Paesi membri si esprimeranno sull’inclusione di nucleare e gas naturale nella tassonomia verde. Ci può dire qualcosa sulla posizione italiana?
“Non mi sono ancora ufficialmente insediato e si tratta di una decisione prettamente politica, quindi preferisco non pronunciarmi”.
Una volta nella pienezza dei suoi poteri, sarà lei a rappresentare l’Italia a Bruxelles?
“Esiste un circuito di rappresentati dei Paesi della Ue, miei omologhi: ci siamo già scritti e parteciperò alle loro riunioni. Ma a livello europeo il ruolo politico, e quindi ministeriale, è molto più forte. Il ministro Cingolani partecipa quasi sempre direttamente a questi negoziati. Ritengo che l’Inviato speciale per il clima sia più importante sui tavoli multilaterali internazionali, dove non sempre i ministri della Transizione ecologica o degli Esteri possono garantire la loro presenza”.
Nel 2020 gli appuntamenti internazionali non mancheranno. Quali ha già segnato in rosso sulla sua agenda?
“Certamente Cop27, che si conclude a novembre in Egitto ma che in realtà è un negoziato che dura tutto l’anno. Ma ci sono anche la Cop per la tutela della biodiveristà e quella per il contrasto alla desertificazione, nate come quella sul clima in occasione della Conferenza di Rio nel 1992. Anche lì io e il mio team dovremo avere un ruolo. E poi ci sono tutte le attività G7 e G20. Nel G20 a guida indonesiana l’Italia è nella troika, in quanto presidente dell’edizione 2021, e noi contribuiremo a individuare le priorità. Come Italia abbiamo introdotto una grande novità, unendo in un solo appuntamento le due ministeriali Energia e Clima, proprio per sottolineare il nesso fortissimo tra i due temi. Auspichiamo che l’Indonesia replichi lo stesso approccio”.
Cop 27 si terrà a Sharm El Sheik. Lei per tre anni è stato vice ambasciatore al Cairo. Le tornerà utile la sua conoscenza dell’Egitto?
“La gestione delle Conferenze delle parti è totalmente nelle mani delle Nazioni Unite. Il Paese ospitante può esercitare una qualche influenza sulla priorità dei temi da affrontare, ma ahimè non credo che la conoscenza dell’Egitto possa dare alcun valore aggiunto”.
In quella occasione si parlerà molto di aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo, che devono affrontare la transizione energetica e prevenire (o riparare) i danni e le perdite da eventi meteo estremi. Tradizionalmente la politica estera italiana ha orientato la cooperazione e lo sviluppo verso il Mediterraneo e l’Africa. Sarà così anche per il clima?
“L’Italia, come è giusto che sia, ha delle priorità geografiche, in particolare in Africa. Ma sull’adattamento climatico è più difficile stabilirle. Come insegna la vicenda di Tonga, le isole del Pacifico rischiano di scomparire. E la priorità da geopolitica diventa esistenziale”.