Anche le Alpi italiane avranno la loro montagna sacra. Questa almeno è la proposta di un nutrito gruppo di intellettuali, naturalisti, alpinisti e  amanti della montagna  (tra i quali Alessandro Gogna, Hervé Barmasse, Manolo, Kurt Diemberger, Michele Serra, Silvia Ronchey, Nando Dalla Chiesa, Duccio Canestrini, Paolo Cognetti, Toni Farina e Toni Mingozzi ) che, in occasione dei cent’anni del Parco Nazionale Gran Paradiso hanno presentato questa proposta di forte portata simbolica. Un’idea mai realizzata ex novo nel mondo occidentale.

La cima indicata dall’appello è il Monveso di Forzo, a cavallo tra la Val Soana e la Valle di Cogne. Il simbolo della montagna sacra è legato alla visione orientale del creato, che immagina e venera le alte cime come dee della fertilità e dispensatrici di acqua e vita. Basti pensare che per le popolazioni locali che vivono all’ombra delle grandi vette himalayane l’Everest è il Chomolungma, la madre dell’Universo, Kangchenjunga (la terza montagna più alta con i suoi 8586 metri)  significa Cinque forzieri della grande neve e Cho Oyu (8201, la sesta montagna più alta) significa Dea Turchese. Poi c’è il Kailash, l’anima sacra del Tibet dove l’attività alpinistica è proibita. Alto 6638 metri è considerato sacro dall’Induismo perché ospita la dimora di Shiva e dal Buddhismo in quanto centro dell’Universo. È meta di pellegrinaggio per  tibetani e  indiani, che seguono un cammino rituale di oltre cinquanta chilometri che aggira la montagna toccando i monasteri e altri luoghi di meditazione e preghiera. Ma nessuno calpesta la cima.

Il Kailash, montagna sacra tibetana 

Nell’idea dei promotori la montagna sacra italiana non è pensata come luogo di divieti, perché un progetto culturale non può basarsi sull’imposizione. Non è infatti prevista  alcuna interdizione formale, nessun divieto d’accesso, nessuna sanzione  per chi non vorrà astenersi dallo scalarla. Molto più semplicemente, l’impegno a non salire sulla cima sarà una scelta suggerita e argomentata, al fine che venga rispettata da tutti.  Qui sta il punto centrale dell’appello, che ritiene sia venuto il momento di astenersi dalla conquista materiale, almeno in alcuni luoghi, per ribadire che non siamo i padroni dell’universo.  “ Nel nostro tempo così avido di performance e povero di spirito – scrivono i firmatari del progetto – è giunto il momento che almeno su una cima ci si astenga dalla conquista per riscoprire il significato del limite”. In pratica ci si fermi più in basso della cima, lasciandola ai giochi del vento, ai silenzi e agli altri esseri viventi.

La scelta della vetta è caduta sul Monveso di Forzo, poco conosciuta cima piramidale di 3322 metri di grande bellezza ed eleganza, raramente frequentata, situata sul confine tra i versanti piemontese e valdostano del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Parco che avrebbe benefici da questa iniziativa  dato che “intorno alla montagna sacra si potranno costruire, con la collaborazione degli operatori locali, itinerari e punti di sosta che pongano l’enfasi sull’osservazione e non sulla conquista, sul momento di conoscenza e di contemplazione più che sulla competizione sportiva, così da generare riflessioni sul nostro rapporto con la natura e promuovere una diversa cultura della fruizione della montagna e, più in generale, degli ambienti naturali”. Come recita l’appello consultabile sulla pagina.

Cartolina che illustra il progetto