“Sarebbe bello essere stati di più in piazza, ma obiettivamente sarebbe stato strano”. Qualche giorno dopo il grande sciopero globale per il clima del 25 marzo, per Fridays for Future è tempo di resoconti. Martina Comparelli, una delle portavoce del movimento nazionale, ragiona sui numeri dell’adesione. In tutta Italia, nelle 78 città che hanno visto sfilare i cortei dell’onda verde, hanno protestato oltre 70mila persone, un dato non ancora completo ma in ogni caso ben lontano dal milione del settembre 2019.
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In mezzo c’è stata la pandemia – i suoi strascichi ci sono ancora – ed è arrivata anche la guerra in Ucraina a preoccupare ragazze e ragazzi. “Non voglio addossare tutte le colpe agli eventi esterni – sostiene Comparelli – ma i numeri vanno circostanziati. Da una parte gli studenti vengono da un periodo di occupazioni e ci hanno pensato due volte prima di perdere un’altra giornata di scuola. Dall’altra la guerra è fortemente mediatizzata e occupa tutti i nostri pensieri”.
Per Comparelli è necessario tenere a mente anche la psicologia. “La teoria della pozzanghera finita di preoccupazioni – spiega – dice che ognuno di noi può preoccuparsi di un certo numero di problemi alla volta, oltre i quali il resto è rumore di fondo. Inoltre tendiamo a ricercare una gratificazione nel qui e ora, ad avere un guadagno subito piuttosto che uno a lungo termine. E risolvere la crisi climatica non porta benefici immediati, porta solo a non vedere il mondo in fiamme”.
Questo è proprio il problema della crisi climatica. “Nonostante sia legata alla pandemia come alla guerra, non ha effetti immediati. Quindi quando c’è qualcosa di più istantaneo passa in secondo piano“, si rammarica Comparelli. “Solo che ogni volta che i cittadini smettono di farci caso, si fanno passi indietro, non si riesce più a mantenere la pressione sui capi di Stato e di governo e non si ottengono i cambiamenti, solo promesse che non vengono portate avanti”.
L’accusa dell’onda verde si fa sentire forte come sempre: “Nel mondo delle decisioni e degli investimenti si ha una mentalità infantile. Si vuole il giocattolo ora, il cioccolato quando è ora di cena. Non si considerano le conseguenze delle proprie azioni o cosa succederebbe se queste cambiassero. Noi come movimento gettiamo luce su questa cosa, però rimane la tendenza a informarsi solo delle cose più pressanti. E se il governo continua a non fare nulla dopo anni di avvertimenti della scienza e i media a parlare poco del problema si capisce perché l’attenzione sul clima sia bassa”.
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Alla luce di tutti questi fattori il giudizio sullo sciopero globale è positivo: “Non credo la paura sui numeri sia giustificata”, sostiene Comparelli. “Se escludiamo le manifestazioni per la Pre-Cop e il G20, che erano situazioni straordinarie, c’è stata una risalita, una crescita lenta. La stessa riscontrata dagli altri gruppi internazionali. Solo la Germania ha avuto un aumento significativo. E stiamo studiando il caso”.
A settembre 2019 i manifestanti tedeschi erano stati 1,4 milioni in 575 città. Lo sciopero globale del 25 marzo ne ha coinvolte oltre 300, per un totale di 220mila persone, di cui 22mila a Berlino e 12mila ad Amburgo.
Intanto Fridays for Future Italia cerca nuove forze e nuove idee, anche con attività collaterali: presentazioni di libri, approfondimenti su temi specifici, flashmob, volantinaggio e aperitivi ‘Sali a bordo’ per raccontarsi e spiegare come unirsi. Questo perché il movimento non è statico e si mette continuamente in discussione. “Non so se quello che facciamo adesso è sbagliato o è solo un effetto naturale del contesto storico-politico del momento. E anche se in prospettiva c’è una crescita – conclude Comparelli – non ci adagiamo sugli allori. Il nostro lavoro non si ferma“.