Nessun angolo del pianeta è ormai libero dalle microplastiche. Sono state trovate persino nei campioni di neve in Antartide. Nella barriera di Ross e vicino alla stazione McMurdo, la base antartica americana, si è visto che la concentrazione è più bassa che in altre regioni del pianeta, ma i residui rintracciati provengono anche da luoghi remoti, a 6 mila chilometri di distanza. L’inquinamento deriva perlopiù dal Pet, il materiale più utilizzato per bottiglie e contenitori alimentari. In questa desolazione, c’è però una buona notizia: uno studio dell’Università di Canterbury certifica che il pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri) almeno per ora sembra essersi salvato. I ricercatori hanno analizzato alcuni pulcini morti per cause naturali, per scoprire che nel loro stomaco non vi erano scarti di plastica, se non fibre di orgine naturale.
Lo studio è stato condotto nell’Atka Bay, popolata da una delle 10 colonie più grandi di pinguino imperatore con ben 9600 individui. Ma non priva del tutto di microplastiche, che risultano comunque presenti nell’acqua e rischiano di entrare nella catena alimentare. Come già visto purtroppo in altre specie di pinguini che vivono nelle zone più vicine alle basi scientifiche. I ricercatori dell’Università di Coimbra hanno infatti trovato tracce di microplastiche nel 15%, 28% e 29% delle feci di pinguini di Adelia, Gentoo e King.
La presenza del pinguino imperatore, considerato un superpredatore, è dunque un ottimo bionindicatore dello stato di salute dell’habitat. Si tratta infatti di un uccello che vive perlopiù in aree remote e isolate, ha una taglia che supera quella dei suoi simili ed è la specie che dimostra atteggiamenti genitoriali di maggiore accudimento. Ai pulcini, allevati sulle piattaforme di ghiaccio marino, vengono dedicati mesi e mesi di cure durante il periodo dell’anno con il clima più rigido. Durante la cova le femmine si allontanano per cercare cibo, mentre i maschi proteggono l’uovo trattenendolo fra le loro zampe per oltre 60 giorni. Se la schiusa dovesse verificarsi prima che torni la femmina, il maschio sarà in grado di produrre una secrezione esofagea che può nutrire il piccolo per almeno due settimane. Per tutto il primo anno di vita del pulcino i genitori restano nei pressi dell’Oceano meridionale e si spostano solo di 200 chilometri per approvvigionarsi.
Lo stomaco dei pulcini è quindi una vera miniera di indizi per gli scienziati che studiano la traformazione dell’ambiente circostante. La dieta del pinguino imperatore si basa su pesce, krill e calamari e il piumaggio viene studiato per rilevare, ad esempio, la presenza di metalli pesanti. Purtroppo questi uccelli sono però molto vulnerabili al cambiamento climatico. La specie che sopravvive alle temperature più estreme ora sconta una riduzione dei ghiacci arrivata al 60% negli ultimi 30 anni e le speranze che il pinguino imperatore non si estingua entro il 2100 si fanno sempre più labili.