“L’oceano sta straripando”: segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres ha lanciato l’allarme sulla crisi climatica e, in particolare, sul pericolo rappresentato dall’innalzamento del livello dei mari per le Isole del Pacifico. “Si tratta di una situazione folle”, ha detto, stando ai media internazionali, aggiungendo che “l’innalzamento dei mari è una crisi creata interamente dall’umanità. Una crisi che presto raggiungerà una scala quasi inimmaginabile, senza una scialuppa di salvataggio che ci riporti in salvo”.

Guterres è intervenuto a Nukùalofa, la capitale di Tonga, nel corso del Pacific Islands Forum, organizzato dai paesi più colpiti dal fenomeno, in vista di una sessione speciale dell’Onu sull’aumento del livello dei mari che si terrà il mese prossimo.

Nel suo intervento il segretario generale ha commentato i dati di alcuni report realizzati dalle Nazioni Unite con l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), da cui emerge che riscaldamento globale e scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai stanno provocando un peggioramento nell’innalzamento del livello dei mari. In particolare il livello del mare che lambisce Nukùalofa tra il 1990 e il 2020 risulta aumentato di 21 centimetri, il doppio della media globale di 10 centimetri. Apia, capitale di Samoa, ha visto un aumento di ben 31 centimetri, mentre Suva, capitale delle Figi, ne ha registrati 29. Dati che secondo il segretario generale “mettono le nazioni delle isole del pacifico in grave pericolo”. Guterres ha sottolineato infatti che “circa il 90% della popolazione della regione vive entro 5 chilometri dalle coste”.

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“Sono a Tonga per lanciare un Sos globale – Save our Seas – sull’innalzamento del livello del mare. Una catastrofe globale“, ha detto Guterres. Le isole del Pacifico, scarsamente popolate e con poche industrie pesanti, emettono collettivamente meno dello 0,02% delle emissioni annuali di gas serra del mondo. Ma questo vasto gruppo di isole vulcaniche e atolli corallini a bassa quota sta subendo duramente gli effetti del riscaldamento globale, soprattutto a causa dell’innalzamento del livello del mare.

Secondo il WMO negli ultimi trent’anni il livello del mare è aumentato in media di 9,4 cm in tutto il mondo. In alcune zone del Pacifico l’innalzamento raggiunge i 15 cm.

“È sempre più chiaro che stiamo rapidamente esaurendo il tempo a nostra disposizione per arrestare la tendenza”, avverte Celeste Saulo, segretario generale di questa importante agenzia delle Nazioni Unite. “Le popolazioni, le economie e gli ecosistemi dell’intera regione del Pacifico sud-occidentale sono fortemente colpiti dagli effetti a cascata” del cambiamento climatico, sottolinea nella prefazione del rapporto. In alcuni luoghi, come Kiribati e le Isole Cook, le misurazioni dell’innalzamento del livello del mare sono pari o inferiori alla media globale. Ma altrove, in particolare nelle Samoa e nelle Figi, l’innalzamento osservato è tre volte superiore. A Tuvalu, la superficie terrestre è già così ridotta che i bambini usano l’asfalto dell’aeroporto internazionale come parco giochi. Secondo gli esperti, anche se in futuro l’innalzamento del livello del mare sarà contenuto, Tuvalu potrebbe essere completamente sommersa entro 30 anni.

“I disastri si susseguono e perdiamo la capacità di ricostruire, di resistere a un altro ciclone o a un’altra inondazione”, ha dichiarato a France Presse il ministro del Clima di Tuvalu, Maina Talia, a margine del vertice Ifp. “Per gli Stati insulari a bassa quota è una questione di sopravvivenza”, ha aggiunto. La situazione dei Paesi del Pacifico è stata ignorata in passato, soprattutto a causa del loro isolamento e del loro minor peso economico. Ma i ricercatori considerano la regione come un indicatore di ciò che potrebbe accadere in altre parti del mondo.

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“Questo nuovo rapporto conferma ciò che i leader del Pacifico dicono da anni”, ha dichiarato all’Afp il ricercatore australiano sul clima Wes Morgan. “Il cambiamento climatico è la loro più grande minaccia per la sicurezza. Le nazioni del Pacifico sono impegnate in una lotta per la sopravvivenza e fermare l’inquinamento climatico è essenziale per il loro futuro”, ha insistito. Secondo le Nazioni Unite, la stragrande maggioranza degli abitanti dei Paesi del Pacifico meridionale vive a meno di cinque chilometri dalla costa. L’innalzamento del livello del mare, sommergendo la terra, riduce non solo lo spazio vitale ma anche le risorse idriche e alimentari delle persone, sottolinea l’organizzazione. L’innalzamento della temperatura dell’acqua provoca anche disastri naturali più violenti, mentre l’acidificazione degli oceani influisce sulla catena alimentare marina.

Per Rosanne Martyr, esperta del Climate Analytics Institute di Berlino, “il prezzo da pagare aumenterà inesorabilmente se non si interviene con urgenza”. Paesi come Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Micronesia hanno già perso “più dell’1% del loro Pil a causa dell’innalzamento del livello del mare”, afferma l’esperta. Le nazioni insulari del Pacifico sono logicamente “in prima linea nella battaglia contro il cambiamento climatico”, ha sottolineato il segretario generale dell’IFP Baron Waqa, dell’isola di Nauru, all’apertura del forum.

Il ministro del Clima di Tuvalu, Maina Talia, ha esortato i “Paesi più inquinanti” a pagare i costi crescenti del cambiamento climatico, in linea con il principio “chi inquina paga”. Il forum PIF, che riunisce 18 Stati e territori associati, tra cui la Nuova Caledonia e la Polinesia francese, durerà fino a giovedì 29 agosto.