L’aria frizzante, i prati verde acceso, qualche spruzzata di roccia qua e là, i campanacci della mandria. E’ una cartolina dalle valli che ritrae tutta la bellezza di un paesaggio di montagna, il sogno di fuggire dalla città per ritrovare la pace e recuperare energie. Siamo in Valle d’Inferno, nella Bergamasca, all’alpeggio di Ferdinando Quarteroni, conosciuto da tutti come Ferdy, alpeggiatore di professione ma prima di tutto per amore, che ha scelto di lasciare in gestione ai figli Alice e Nicolò l’agriturismo giù a Lenna per dedicarsi alla vita dell’alpe. E per salvaguardare questa valle, che fa parte della ‘Cheese Valley’ oggi riconosciuta dall’Unesco: qui sono nati i formaggi che rappresentano la storia e la cultura casearia di questo territorio.
Fare l’alpeggiatore è un mestiere nobile e antico, che sta scomparendo e che Ferdy ha deciso di far conoscere da vicino ai propri ospiti, dando la possibilità di trascorrere un weekend in uno scenario da sogno, dormendo una notte nella baita in una camera condivisa, per comprendere quanto lavoro, fatica e passione c’è dietro la figura dell’alpeggiatore. Lontano dai comfort della città e dalle comodità a cui siamo abituati.
Abbandonata la connessione Internet e la linea telefonica – lo smartphone servirà soltanto a fotografare la bellezza per conservare il ricordo dell’esperienza – si parte con il trekking. La prima tappa è la baita Ciarei, a 1.650 metri di altezza, dove nella casera c’è un pentolone di rame sul fuoco con dentro latte appena munto. Un profumo primitivo a cui non siamo abituati. Serve per fare il formaggio e anche le vacche distese al sole, che rendono il paesaggio idilliaco, sono lì per lo stesso motivo: mangiare erba fresca e produrre latte. Non sono vacche normali: sono le Brune alpine, animali che fino a qualche anno fa erano considerate a rischio estinzione – in Lombardia ne erano rimaste soltanto 500 esemplari – e che oggi hanno riconquistato il pascolo e sono tornate padrone delle Orobie grazie a Ferdy, che ha voluto investire nel progetto per valorizzare la razza.
La scelta di spostare le vacche in alpeggio, facendole pascolare e mangiare erba fresca, non è la strada più semplice ma sicuramente quella che permette di ottenere un formaggio di alta qualità, rispetto alle vacche che vengono nutrite soltanto con il fieno: “Le Brune alpine possono produrre 10 o 15 litri di latte al giorno, rendono meno rispetto alle altre – spiega Ferdy – ma sono forti e adatte per la montagna”. La vita degli alpeggiatori e dei casari è una sfida quotidiana, pagano il prezzo di vivere immersi in tanta bellezza con la fatica delle attività da svolgere e nel seguire gli animali. “Salendo verso la cima l’erba migliore dà un latte migliore – racconta Giuseppe Giovannoni, il casaro che lavora accanto a Ferdy – La cottura del latte nel fuoco a legna è più lenta, ma conferisce al formaggio quel sentore di affumicato che gli dà una marcia in più: è il sapore di monte che con la cottura a gas non ottieni”, aggiunge.
L’obiettivo di Ferdy è di avvicinare le persone curiose al mondo dell’alpeggio, mostrare le difficoltà e i sacrifici che sono dietro a questa scelta di vita, ma che porta anche tante soddisfazioni e uno stile di vita più sano a contatto strettissimo con la natura. Magari qualche giovane si innamora del mestiere e decide di impararlo. Al rifugio Ciarei quest’anno con Ferdy ci sono anche Matilde, Jonathan e Nicolas, giovanissimi di 17, 20 e 18 anni, che hanno deciso di trascorrere tempo di qualità in alpeggio per imparare il mestiere. Non è una passeggiata, ma una scelta consapevole: sveglia all’alba ogni mattina per la prima mungitura, via nei boschi a raccogliere i rami per fare la legna per il fuoco che servirà a cucinare e fare il formaggio, sono soltanto alcune delle attività che svolgono ogni giorno. Dormono in una tenda piantata davanti alla baita, si lavano con acqua dei ruscelli e non si lamentano mai. Un bell’esempio.
Camminare sull’erba a piedi nudi, mungere le vacche, raccogliere le erbe e le piante che servono per preparare il pranzo, come la coclearia e il romice, abbinati ai tesori del Ferdy, i suoi formaggi che ama descrivere come un grande artista che presenta al mondo la sua opera d’arte: la stessa passione forte negli occhi e nel tono di voce, nei gesti delle mani. Ogni forma ha la sua storia, la sua annata e il luogo dove è stato fatto, ma soprattutto la sua essenza unica che non sarà mai riprodotta uguale per un altro formaggio. Ogni pezzo è unico e inimitabile. Si mangia la polenta cotta in un pentolone dopo aver fatto il fuoco fra due sassi, Formai de mut, mascherpa o ricotta, patate bollite servite su pietre raccolte al fiume come piatto.
Si beve buon vino biologico e acqua di sorgente che ghiaccia i denti, si ascoltano i racconti di chi conosce queste valli come una casa. C’è anche il dessert: pane, burro e marmellata. Ma il burro quello d’alpe, che “non si trova giù in paese”, brilla sotto il sole come un lingotto d’oro ed è uno dei beni più preziosi quassù. “Con il burro fai tutto, ci cuoci il salmerino pescato nel lago e gli dai un gusto speciale aggiungendo il timo, lo metti sul pane con il miele o assieme allo yogurt con i biscotti sbriciolati e fai un dolce”, assicura Ferdy.
Alcuni dei prodotti dell’alpeggio vengono portati all’agriturismo giù a Lenna e venduti nella boutique aperta al pubblico oppure serviti al ristorante, che negli anni è cresciuto di livello: nonostante le contaminazioni e le nuove proposte gourmet, vengono utilizzate materie prime del territorio sempre in base alla stagionalità. Una boccata d’aria fresca e genuina, una riconnessione con la natura. Dopo una breve siesta pomeridiana, la sveglia suona alle 16 per la seconda mungitura della giornata: “Nonno posso aiutarti?”, squilla la voce di Nina, 4 anni e mezzo, nipotina di Ferdy che ha deciso di far compagnia al nonno per il weekend, totalmente in sintonia con lo spirito wild. Ferdy la prende in braccio, le mette il cappello del casaro e non c’è bisogno di insegnarle nulla perché sa fare da sola.
Quando anche l’ultimo escursionista di giornata scende dalla cima del Pizzo tre signori e lascia la montagna, il sole si fa debole ed è il momento più bello per ammirare la natura: escono le marmotte e si sente il loro richiamo, il cielo si colora di rosa per un tramonto incantato. Resta il silenzio dei monti. E’ un privilegio poter trascorrere qui la notte, nella valle illuminata dalle stelle e dalle lucciole, dove i grilli fanno a gara a chi canta più forte e i campanacci cessano di suonare. “Che pace, la sera”. La mattina dopo si ricomincia, la giornata scandita con gli stessi ritmi, salvo qualche imprevisto dato da un temporale improvviso o una vacca troppo capricciosa.
L’esperienza di vivere l’alpe, che si può prenotare sul sito di Ferdy Wild, non sarà sempre uguale: cambia ogni volta in base ai tempi e ai ritmi delle vacche. La vita in alpeggio segue un percorso: “Una volta che le vacche finiscono di pascolare in una zona, ci si sposta e si sale ancora più in cima, fino ad arrivare alla Corna dei vitelli che è l’ultima tappa – spiega Ferdy – Da lì poi si scende per tornare all’alpeggio da dove siamo partiti e dove l’erba sarà ormai ricresciuta”. E’ così fino a metà settembre, poi le vacche che fanno il latte tornano in agriturismo a Lenna.
L’esperienza di vivere l’alpeggio apre gli occhi e insegna che è ancora possibile vivere con quello che la natura dà, l’essenziale, riadattandosi ai suoi ritmi. Si comprendono la fatica e il fascino di un mestiere che sta scomparendo, quanto lavoro e attenzioni ci siano dietro la produzione di un formaggio di qualità. Si stacca la spina dalla frenesia della quotidianità e questo fa bene al corpo e all’anima.
Ferdy Wild è una grande famiglia, un’idea visionaria che ha preso il via nel 1989 con l’avvio dell’azienda a conduzione familiare e 12 cavalli. Ora è diventata una realtà potente che attira folle anche dall’estero – grazie all’aiuto dei social, che Nicolò e la moglie Nicole sanno gestire molto bene nel raccontare la loro realtà a 360 gradi – con ospiti che sfidano le lunghe liste d’attesa per un pranzo domenicale in mezzo alla natura e il privilegio di una spa privata con vista sui monti. Poi c’è la versione ‘real wild’. Quella dell’alpeggio, senza regole.