Un simbolo, un’icona, molto più di una mascotte. Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Molise e Lazio piange Juan Carrito, l’orso marsicano che in questi anni si era fatto conoscere e amare da residenti e turisti. L’animale, che aveva tre anni di vita, è stato investito questa sera da un’auto nei pressi di una galleria a Castel di Sangro, sulla statale 17, ad appena due chilometri dal luogo di un altro incidente che – nel 2019 – era costato la vita a un altro orso. Juan Carrito è morto in seguito alle conseguenze dell’urto, la donna alla guida dell’Opel Corsa non avrebbe riportato traumi.
La carcassa dell’animale è stata recuperata dal personale del Parco e, mentre le forze dell’ordine ricostruiscono la dinamice del sinistro, sarà trasportata all’Istituto Zooprofilattico per la necroscopia. “Non ci sono parole per quel che è successo”, scrive il profilo ufficiale del Parco. “Sono sconvolto, è come se fosse scomparso un familiare”, dice Luciano Sammarone, direttore del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, quasi singhiozzando al telefono. “Juan Carrito, piccola consolazione, è morto da orso libero, era uno di quei ‘ragazzi irrequieti’ alla James Dean, ci mancherà. Continueremo a fare di tutto per migliorare la sicurezza degli orsi marsicani nel territorio del Parco, non ci dimenticheremo di lui”.
Le storie di Juan Carrito, noto anche come M20 o Ganimede, avevano aiutato il grande pubblico ad approfondire la conoscenza su questa sottospecie così simbolica del Parco, differenziata geneticamente dagli orsi delle Alpi, endemismo esclusivo dell’Italia centrale. Sarebbero, secondo gli ultimi censimenti, appena 50 gli esemplari nel territorio del Parco e zone limitrofe.
E Juan Carrito era, tra questi, certamente uno dei meno elusivi, ormai fatalmente abituato alla presenza dell’uomo e alle sue attività, in particolare nella zona di Roccaraso, dove pure aveva fatto razzia nelle cantine, nei pollai e nei cassonetti, persino in una pasticceria e si era tentato (invano) di allontanarlo.
“Ecco, la storia di Juan Carrito ci ha insegnato gli errori che ancora commettiamo nel rapportarci agli animali selvatici, troppo spesso trattati come peluche. – aggiunge il direttore del Parco – La gestione dei rifiuti nei centri abitati e l’attenzione mediatica attorno a questo singolo esemplare ci lasciano in eredità delle riflessioni importanti sulla fauna del nostro Parco”.
Di Juan Carrito erano in effetti diventati virali alcuni video sui social (compreso l’incontro quasi giocoso con un pastore tedesco a Villalago), così come il post – lo scorso settembre – dello chef stellato Niko Romito, che al suo ristorante tre stelle Michelin di Castel di Sangro, Casadonna Reale, aveva apprezzato la singolare visita dell’orso-celebrità: “È passato Juan Carrito per un salutino – aveva scritto – È andato spedito verso le cucine, La natura che abbiamo qui intorno è viva. Siamo circondati dal parco nazionale, bellezza vera”.
Così come alcuni apicoltori abruzzesi avevano addirittura considerato un passaggio (con tanto di scorpacciata di miele) di Juan Carrito come un inequivocabile certificato di qualità del prodotto.
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Non tutti avevano però compreso quanto innaturale sia la propensione di un orso al contatto con l’uomo, né la disinvoltura con la quale questi si avvicinava ai centri abitati. Una disinvoltura che, a quanto pare, potrebbe essergli costata la vita. A Juan Carrito, che era nato in pieno lockdown da mamma Amarena, è stato dedicato anche un documentario Sky, “Il marsicano. L’ultimo orso”, un lavoro nato proprio con l’obiettivo di far comprendere il lavoro svolto nella gestione degli orsi confidenti, sottolineando come i sentimenti e l’empatia verso questi splendidi animali stiano aumentando anche da parte delle persone locali, che magari subiscono danni e nonostante questo non possono smettere di amarli. E insomma una cosa è certa: Juan Carrito ha lasciato il segno.