Nella società estrattiva in cui viviamo, una logica scellerata, incardinata sulla convinzione profondamente errata che le risorse naturali fossero infinite, ci ha lasciato credere, per un paio di secoli, alla falsa prospettiva di uno sviluppo infinito così come le risorse naturali. La data del primo agosto quest’anno, come Overshoot day, il giorno cioè, nel quale andiamo in debito -in guerra- con la Natura, ci ricorda che quella era una menzogna.
L’Overshoot day, infatti, viene determinato ogni anno in funzione di un’analisi che mette a confronto la biocapacità del pianeta – cioè le aree terrestri e marine biologicamente produttive – con l’impronta ecologica dell’umanità: cioè la combinazione di domanda di cibo, legname, foreste necessarie ad assorbire l’anidride carbonica derivante dai combustibili fossili e il suolo occupato dalle città.
L’Overshoot day ci rammenta che l’individualismo spregiudicato nel quale siamo immersi, ci porta a indebitarci sempre di più, e ogni anno sempre prima, con la Natura. Quindi con noi stessi. Perché il senso del limite, anzi il governo del limite, ha significato proprio nella dimenticata prospettiva collettiva: nella concezione di essere parte di una comunità e di un tutto che è casa nostra. E nella convinzione che quella casa debba essere saggiamente preservata. Perché proprio in lei, nella Natura di cui siamo parte, c’è la sola ricchezza che può davvero salvarci: la biodiversità. D’altronde la parola “economia”, che oggi ha assunto una valenza molto lontana rispetto al suo etimo, originariamente significa proprio “governo della casa” – dal greco oikos, “casa”, e nomos, “norma”.
Al contrario, la scellerata e miope politica che stiamo adottando, aumenterà il degrado ambientale e la disuguaglianza tra Nord e Sud del mondo, oltre che esaurire le risorse naturali e minerali che supportano le società moderne. Tutto questo in nome di un profitto immediato, sebbene gli allarmi degli scienziati in merito alla finitezza delle risorse naturali risalgono alla prima metà degli anni settanta.
Da quarant’anni, Slow Food racconta un’altra idea di mondo: promuoviamo sistemi locali del cibo, piccoli, resilienti e diffusi, che condizionano positivamente i territori e le comunità che li abitano. Sono sistemi basati sulle relazioni tra gli esseri umani e con gli ecosistemi, sistemi la cui “r-esistenza” crea le condizioni per cui le ricadute sociali e ambientali, diventano persino più rilevanti di quelle economiche, in un meccanismo che ha al centro il bene comune. Sistemi locali del cibo che fanno la differenza tra tenere aperta o chiudere una bottega, tra il fatto che il trasporto pubblico serva un’area oppure no, tra la scoperta e la frequentazione di certe zone per viaggio o il loro oblio. Sistemi del cibo che determinano la manutenzione di certi territori o l’abbandono al dissesto idrogeologico. Sistemi del cibo che significano, in certe aree, una concreta prospettiva di lavoro e di vita. Un’idea di mondo non nostalgica, ma che anzi ha a cuore il presente, che preserva il futuro delle nuove generazioni.
Un’idea di mondo nel quale il cibo e la sua produzione devono tenere insieme, non separare: tenere insieme saperi tecnici e tradizionali, innovazione tecnologica e filosofia, scienza e bellezza, agronomia e fisica quantistica. Perché la ricerca scientifica, senza un sistema valoriale, è merce di scambio. E il cibo, se non è un diritto inalienabile, senza il suo portato sociale, senza la condivisione, senza la sua democraticità, diventa commodity. Il cibo, di cui ci occupiamo da quasi quarant’anni, è il potente elemento che ci riconduce alla terra, grazie alla quale ci nutriamo, alle piante, dalle quali dipendiamo per l’ossigeno, agli animali, perché siamo animali tra gli animali, all’acqua, di cui siamo quasi completamente fatti. Alla Natura.
A Terra Madre, a Torino dal 26 al 30 settembre, racconteremo un’altra idea di mondo: un’idea di mondo nel quale si adotta una logica “bio”, cioè imperniata sulla vita, invece che sul profitto. Per noi è questo il passaggio necessario per guardare il mondo con occhi nuovi e percepirci dentro la natura… Perché: “We are nature”.
*(L’autrice è presidente di Slow Food Italia)