“Sarà un anno cruciale in un decennio fondamentale: molti dei traguardi climatici vanno tagliati entro il 2030. E se nel 2021 si sono definiti gli obiettivi, nel 2022 andranno implementati i piani per centrarli entro gli otto anni successivi”. Luca Bergamaschi, cofondatore del think thank Ecco e attento osservatore delle politiche anti global warming, auspica che i prossimi dodici mesi segnino una svolta: “Occorre agire subito per colmare il divario tra la situazione esistente e l’impegno preso a Glasgow di mantenere l’innalzamento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi”.
Da questo punto di vista quali sono gli appuntamenti principali per la politica internazionale per il 2022?
“Il primo in ordine di tempo è anche quello che ci riguarda più da vicino, cioè la definizione della tassonomia green da parte della Commissione europea. La presidente Von der Leyen avrebbe voluto pubblicarla entro il 22 dicembre, ma nelle ultime settimane le posizioni francese e tedesca sembrano essersi allontanate nuovamente: Parigi vorrebbe includere il nucleare, Berlino è contraria, così come all’inclusione del gas naturale. Un braccio di ferro che probabilmente richiederà il raggiungimento di un compromesso e quindi lo slittamento a gennaio. L’Italia ne potrebbe approfittare per fare da ago della bilancia. E secondo me dovrebbe sposare la tesi tedesca, che è poi quella del pool di esperti che hanno dato un parere scientifico alla Commissione Ue”.
Nel luglio scorso l’Unione europea ha varato il piano Fit for 55, obiettivo: ridurre il 55% le emissioni entro il 2030. Cosa accadrà nel 2022?
“I governi nazionali dovranno recepire quelle indicazioni perché restano solo otto anni. Dovranno impostare le loro politiche energetiche, industriali e di mobilità in modo da dimezzare la CO2. E senza che tutto questo abbia costi sociali. Da come lo faranno capiremo quali saranno le chance di successo di Fit for 55″.
Ma la Vecchia Europa ha ancora la forza per essere leader nella transizione ecologica?
“Dipende appunto da come metterà in pratica gli impegni che ha annunciato. Un’altra cartina di tornasole sarà la pubblicazione, prevista nel primo trimestre 2022 ma che forse slitterà a prima dell’estate, della International Energy Strategy della Ue: un documento che spiega come l’Europa offrirà supporto a tutti quei Paesi che potrebbero pagare un alto prezzo all’addio ai combustibili fossili. A cominciare dai grandi produttori di gas e petrolio: Russia, Algeria, Egitto, Paesi del Golfo…”.
E gli Usa? Alla Cop26 hanno riaperto il dialogo con la Cina. Continueranno l’anno prossimo?
“Sì, Pechino e Washington hanno già annunciato incontri bilaterali per i prossimi mesi, su temi specifici come la riduzione delle emissioni di metano. Ma la vera buona notizia è che le due superpotenze, in disaccordo su tutto, hanno trovato nel clima un terreno su cui lasciare aperto un canale di comunicazione”.
Come ogni anno ci saranno molti vertici internazionali. Quali dobbiamo segnare in agenda?
“A metà febbraio si terrà il summit tra Europa e Unione africana. Sarà l’occasione per offrire un supporto concreto alla transizione ecologica dei Paesi in via di sviluppo. Può essere percepita come una operazione che pone l’Europa in competizione con la Cina per l’influenza sul continente africano. In realtà andrebbe fatta in collaborazione con Pechino, anzi per spingere la Cina ad aiutare le nazioni africane con iniziative rispettose degli Accordi di Parigi. Poi a giugno ci sarà il G7 a guida tedesca e sarà interessante vedere quando rilievo darà alla questione climatica il governo di Berlino che ha nei Verdi un pilastro fondamentale. Infine, il 30 e 31 ottobre si terrà in Indonesia il G20. Come si è visto nel 2021 sono vertici che poi hanno grande influenza sulla Conferenza Onu per il clima”.
A novembre ci sarà l’appuntamento con Cop27, in Egitto. Cosa dobbiamo aspettarci?
“Che vengano confermati e ampliati i piccoli passi avanti fatti a Glasgow. In particolare andranno comunicati i nuovi Ndc (i contributi determinati a livello nazionale, vale a dire i tagli alle emissioni che ciascun Paese si impegna a fare). Difficile che la Ue aggiorni il suo taglio del 55% entro il 2030, ma ci si aspetta qualche sorpresa positiva dalla Cina, che potrebbe rivedere il suo picco di emissioni, per ora previsto nel 2030. A Sharm El Sheik si parlerà soprattutto di finanza e di come mobilitarla per pagare le ‘perdite e i danni’ (loss and damage) da eventi climatici estremi e le misure di adattamento per mettere preventivamente al sicuro persone e infrastrutture”.
Bergamaschi, alla luce di tutto questo, che anno sarà il 2022 per la lotta all’emergenza climatica?
“Mi aspetto una forte spinta dell’opinione pubblica, delle imprese e delle istituzioni finanziarie. Ma bisogna vedere se sarà sufficiente a far sì che la politica colmi il gap tra quello che si sta facendo e quello che dovremmo fare”.