C’è plastica nel mare, e non è, purtroppo una notizia. Quello che non sappiamo bene però è quanta ce ne sia in giro per le acque del mondo. Saperlo invece aiuterebbe a capire come e dove intervenire per gestire il problema, identificando le aree più critiche, quelle più sensibili all’accumulo di plastica e più in pericolo per gli effetti legati al suo inquinamento. Così, per esempio, quanta plastica galleggia nel Mediterraneo? È quanto si è chiesto un team di ricercatori greci, che ha stimato la quantità di rifiuti che potrebbero trovarsi nel Mediterraneo. E secondo i loro modelli sarebbero circa 3700 le tonnellate di plastica che galleggiano sul nostro mare.

Le premesse dello studio, si legge nel paper a firma dei ricercatori pubblicato su Frontiers in Marine Sciences, è che malgrado il problema sia quanto mai reale – anche considerata l’enorme quantità di plastica che viene prodotta ogni anno (ben oltre le 300 milioni di tonnellate) – è che non ci siano molti dati osservazionali in materia di rifiuti marini. Ma non solo: anche tra gli studi e i modelli esistenti pochi fanno riferimento proprio alla plastica, spiegano gli scienziati. Ci hanno provato loro a farlo, modellando il destino della plastica che arriva da terra (dalle città costiere e dai fiumi) una volta raggiunto il Mediterraneo. Bacino particolarmente interessante, perché è al contempo, scrivono, un hot-spot per la biodiversità e per l’inquinamento da plastica, considerate quante città si sviluppano sulle sue coste. Ma anche per attività quali il turismo e la pesca, e il limitato deflusso delle sue acque superficiali nell’Atlantico.

Il modello da loro messo a punto si basa su simulazioni effettuate nell’arco di otto anni, considerando il destino dei rifiuti plastici terresti sottoposti agli effetti di diversi fenomeni, come per esempio correnti, affondamento, vento, spiaggiamento e biofouling (il fenomeno per cui oggetti vengono ricoperti da piccoli organismi viventi, come alghe e batteri, che li modicano e possono determinarne l’affondamento). Il biofouling, spiegano a margine gli autori, è uno dei meccanismi avanzati per spiegare la scomparsa delle microplastiche dalle acque di superfice, insieme all’ingestione da parte di organismi marini, la frammentazione fino a renderla inosservabile o ancora l’affondamento legato a materiale organico. Per stimare la quantità di plastica immessa nelle acque i ricercatori hanno fatto ricorso ai dati degli impianti di scarico municipali di acque trattate e non e di fiumi, ma anche a stime di densità di popolazione. Ma nel corso dello studio sono state usate anche analisi sul posto per un confronto sul campo.

Al di là delle stime numeriche estrapolate dai loro studi – secondo cui, sarebbero circa 3760 le tonnellate di plastica che fluttuano sulle acque superficiali, più di quanto stimato in precedenza e circa 17600 quelle totali immesse  – i ricercatori presentano anche dei risultati, mappe nel dettaglio, che mostrano dove sono maggiormente concentrate microplastiche (particelle con dimensioni inferiori ai 5 mm) e macroplastiche. Le microplastiche più piccole, quelle inferiori ai 300 μm (micrometri) arrivano soprattutto del Mediterraneo Occidentale (come Francia, Spagna e Italia), dove si trovano zone densamente popolate. Quelle più grandi, continuano gli autori, sono più abbondanti in prossimità di zone di Italia, Grecia, Turchia, la zona est del Medio Oriente e Nord Africa. Turchia, parte del Medio Oriente e Algeria le zone con la più grande abbondanza di macroplastica, legate alla presenza di grandi sistemi fluviali. Abbondanti le macroplastiche erano però, senza sopresa, anche a ridosso di zone densamente popolate di Francia, Spagna e Italia.

“Le microplastiche sono meno abbondanti nelle acque superficiali a causa di un affondamento più veloce dovuto all’adesione a organismi marini pesanti (biofouling) e si accumulano più in profondità nelle colonne d’acque e nei fondali – ha spiegato in proposito Kostas Tsiaras dell’Institute of Oceanography, Hellenic Centre for Marine Research (HCMR), a capo del paper – D’altra parte invece, macroplastiche, come buste e polistirolo possono galleggiare per periodi di tempo più lunghi e arrivare lontano rispetto a dove sono partite”. Saperlo, conoscere ttutto questo, conclude il ricercatore, potrebbe tornare utile per indirizzare in maniera mirata gli interventi per mitigare l’inquinamento della plastica, specialmente in aree di interesse ecologico e commerciale.