MALAGA – L’Italia cominciò a innamorarsi di Malaga circa sessant’anni fa, quando Fred Bongusto – era il 1963 – intonò le note della famosa canzone (Il mio amore è nato a Malaga/Malaga, Malaga/Il mio cuore resta a Malaga/Malaga, Malaga/In quella casa dal patio antico/Quante dolcezze t’ho sussurrato/In quella notte di grande fiesta/Io t’ho donato il mio cuor/Tutto l’amor).
Da allora, più o meno lentamente, l’andirivieni degli italiani verso la città andalusa è stato continuo, complice anche la provincia malaguena (leggi Marbella). In fondo una bella rivincita per una una zona geografica che il resto della Spagna ha sempre guardato in modo un po’ snob, considerandola il sud del paese. E invece Malaga attira gli stranieri, e ne è prova anche l’ultima settimana di novembre: in giro, a zonzo, decine di tedeschi, inglesi, belgi, americani, canadesi. E par di capire che nulla c’entra l’evento di turno ospitato, in questo caso la Coppa Davis di tennis.
È il clima di Malaga che funziona da magnete, essendo davvero una città dal clima mite. Dunque, gli amanti della montagna, del bianco e degli sci, dovranno rivolgere la loro attenzione da qualche altra parte. Ma per tutti gli altri, inossidabili cultori della tintarella, ecco il loro piccolo paradiso. A ottimo mercato, poi, e con ottimo cibo. Scusate se è poco. Ma il punto vero è un altro: Malaga fa scattare la scintilla non solo per le spiagge: chi cerca la storia è nel posto giusto anche in questo caso. Ad ogni modo, chiedete – se vi capita di incontrare – a qualcuno che nella sua vita ha passeggiato tra calle e avenide, e vedrete che – all’unisono – la risposta sarà di questo tipo: “È nel mio cuore”. Più o meno come “il mio amore a Malaga” di Fred Bongusto.
È la rivincita, per questa città: paradossalmente tutto quello che ha patito nel corso della sua evoluzione ora le sta ritornando ricchezza. Nel senso che i barbari prima, i Mori poi, i romani, gli arabi, i Borboni, i genovesi e ci perdoni “l’influencer” che stiamo dimenticando, hanno lasciato impronte che ora sono storia, che Malaga custodisce e mostra. Con stile e misura, cercando di non cedere alla tentazione di non cedere alle richieste talvolta trash della massa turistica, e di salvaguardare le tradizioni. Suona banale e ovvio ricordare che Picasso è nato qui, e dunque la casa è una delle mete, così come il suo Museo. Ma ce ne sono altri (Centre Pompidou, Carmen Thyssen, Alborania….) fa scegliere solo a proprio interesse e gusto. Ah, anche Antonio Banderas è nato qui, e ha casa. Un attico visibile dall’alto dell’Alcazaba, il palazzo fortezza costruito dai musulmani.
Questo è il simbolo, la conferma del melting pot malagueno in tempi non sospetti: le architetture si fondo tra le religioni: porte arabe modificate dai cristiani, e non ci vuole l’occhio dell’esperto d’arte per riconoscere i riad e la centralità dell’acqua come socializzazione. Ma, a pensarci bene, è sufficiente bighellonare per la città, e alzare un po’ gli occhi: gli innumerevoli alberi di arance, pieni di frutti peraltro, sono a dimostrare come da una cultura si sia passata alle altre. “Vede queste arance con le doppie foglie? Sono state manipolate dagli arabi. Hanno un sapore aspro, amaro. Buono per le marmellate…”. Costruzioni a parte, sono il simbolo naturale di una presenza storica. Però Malaga ha scelto il biznaga, famiglia dei gelsomini, come suo simbolo (è il premio di un festival cinematografico). Biznaga vuol dire ‘Regalo di Dio’. Nella stagione di fioritura si possono incrociare i venditori.
Questa è Malaga, e la sua Costa del Sol. No, scusate: questo è solo l’incipit di Malaga e sua Costa del Sol: il resto, cioè tapas, sangria, cerveza, vino, teatri, flamenco, ecce cc, si posso scoprire da soli. Anzi, dovete: ogni scoperta diventerà sempre più bella.