Raccontare le città attraverso i rifiuti, disegnare mappe che raccontino i luoghi partendo dalle tracce che i luoghi stessi lasciano. È questa la sfida lanciata dal collettivo artistico La luna al guinzaglio che ha individuato quattro artigiani per raccontare ognuno la propria città. Sono nati così gli Atlanti babelici, una raccolta di libri, interamente realizzati a mano, dove gli oggetti di scarto diventano protagonisti della narrazione.
Napoli, Palermo, Catanzaro e Bari le città coinvolte, tutte località bagnate dal Mediterrano. La luna al guinzaglio – riconosciuto dalla Regione Basilicata come Centro di educazione ambientale e alla sostenibilità (Ceas) – ha chiesto agli artisti di costruire cinque Atlanti seguendo dei temi. In ogni località ha preso così vita l’atlante del mare, della terra, dell’aria, del movimento e del corpo.
“Gli Atlanti babelici sono di fatto delle mappe che raccontano la città”, spiega Rossana Cafarelli, socia del collettivo che ha dato vita al progetto. “Non attraverso la cartografia classica ma utilizzando resti che i territori lasciano. Per esempio una fotografia trovata in un cassonetto, un biglietto di un autobus, uno scontrino…”. Oggetti che gli artisti hanno riassemblato dando vita a libri senza parole, sfogliabili e tattili. “Noi intendiamo il ri-fiuto come qualcosa che può essere fiutato nuovamente”, continua Cafarelli. Per questo motivo è stato espressamente richiesto di utilizzare soltanto materiale di scarto. Egli artisti non se lo sono fatto ripetere due volte.
Unire i pezzi per raccontare il linguaggio metropolitano
“Ho rovistato nella spazzatura come un topo di fogna”, racconta Massimo Sirelli, che ha rappresentato la città di Catanzaro e ha esposto i suoi atlanti al Museo Marca. “Mi sono lasciato ispirare in quello che mi imbattevo, poi ho fatto un lavoro di cernita e ho visto i pezzi legarsi tra di loro”. Sirelli, che si è avvicinato da adolescente all’arte tramite la graffiti art, per creare uniformità tra i materiali degli Atlanti ha usato proprio la tecnica dei graffiti “per ricalcare la street art della città e estrapolarne il suo linguaggio metropolitano”.
Dai graffiti Sirelli è arrivato a partecipare a campagne pubblicitarie di rilievo e a collaborare come brand dal calibro della Rai o della Coca Cola, ma sempre tenendo ben a mente il concetto dell’upcycling. Dai materiali di scarto recuperati in mercati, scaffali e strade di tutto il mondo, per esempio, ha dato vita a dei Robot da compagnia, alcuni compaiono anche nel film “Il filo invisibile”, con Filippo Timi e Francesco Scianna.
Ogni oggetto contiene una piccola storia
Lasciarsi ispirare dai materiali è il segreto dietro agli Atlanti. “Ogni oggetto – racconta Daniela Pergreffi, disegnatrice e docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli – contiene una piccola storia. Per esempio io ho usato tantissimo le buste delle raccomandate, quelle gialle. Un po’ di materiale l’avevo già: quando vado negli uffici e vedo carta da riciclo a volte chiedo se posso prenderne un po’”. Altri materiali per i suoi atlanti – esposti al Museo Duca di Martina di Villa Floridiana – li ha recuperati salla strada: biglietti di musei o di autobus e, vicino a un cassonetto, persino dei negativi di fotografie, magari un tempo ricordi preziosi di qualcuno che poi ha deciso di disfarsene.
La sfida più grande, probabilmente, quella con la plastica. “È il rifiuto che genera più orrore, perché è difficile considerarlo bello”, spiega. “Con la mia canoa – racconta – d’estate in mare raccoglievo la plastica per motivi ecologici. Ma grazie agli Atlanti per la prima volta ho cominciato a vederla con occhi diversi. Se pulita accuratamente, la plastica consumata dalle intemperie dona dei colori e delle sfumature molto particolari”.
Camminare lentamente per le città
Per rappresentare gli Atlanti del mare, tutti gli artisti hanno rovistato molto sulle spiagge. Ma per Carmela Dacchille la passeggiata sulla spiaggia è stata un po’ diversa dal solito. “Alcuni degli oggetti li ho trovati sulla costa sud di Palermo”, racconta. “Si tratta di un pezzo di spiaggia abbandonato e inquinato, utilizzato come discarica di materiali edili già a partire dal dopoguerra”. Tornare a casa non con un sassolino o una conchiglia, quegli oggetti che spesso incautamente raccogliamo come souvenir, ma con un pezzetto di piastrella “ha il suo lato estetico”, confida.
Dacchille nel quotidiano lavora proprio con materiali di recupero. È l’ideatrice di Edizioni precarie, un progetto che realizza taccuini a partire da imballaggi alimentari. Naturalmente, per i suoi Atlanti, esposti all’Ecomuseo Mare Memoria Viva di Palermo, ha usato molta carta, come “gli scarti che cadono a terra nelle legatorie”.
Lasciare a casa l’auto
Anche il collettivo Ziczic lavora quotidianamente con la carta. È una piccola casa editrice indipendente, curata da Lilia Angela Cavallo e Silvia Tarantini, che pubblica e racconta soprattutto di luoghi e territori. Cavallo e Tarantini sono particolarmente legate alla propria terra, a partire dal nome. “Ziczic – raccontano – è un modo di dire dialettale, che significa ‘perfetto, ma per puro caso'”.
Per Ziczic, come per gli altri artisti, gli Altanti si sono rivelati un’occasione di riscoperta del proprio territorio, abbandonando gli schemi canonici e, per esempio, attraversando i luoghi esclusi dai tragitti solitamente percorsi in auto, scovando materiale utile in posti impensabili. “Nei viali del cimitero monumentale di Bari abbiamo raccolto i petali dei fiori finti”, spiegano. “Sarebbe quasi possibile una catalogazione botanica di ogni pianta di plastica. È incredibile come anche portare un pensiero a una persona che non c’è più generi rifiuti”. I loro Atlanti sono stati esposti alla galleria Art Project Voga a Bari.
Una Biblioteca errante in espansione
Ad aprile, terminate le mostre nelle città in cui hanno preso vita, gli Atlanti diventeranno parte della Biblioteca errante e verranno esposti al Moon – Museo Officina Oggetti Narranti di Potenza per poi viaggiare per altre città, arricchendosi per ogni tappa di altri “volumi”.
I componimenti poetici che accompagnano gli Atlanti, scritti dallo scrittore Gianluca Caporaso – che ha rielaborato 10 parole chiave indicate da ogni artista per descrivere le proprie opere – sono già stati tradotti in Arabo perché, si augura Rossana Cafarelli “Ci piacerebbe che gli Atlanti arrivino presto anche sull’altra sponda del Mediterraneo”.