“Lei stava bene tra boschi, rocce e prati ad alta quota dove non esistevano nè Austria ne Italia, ma solo quella che per lei era la vera, unica patria: la montagna”. Tina, Katharina Thaler è la protagonista dell’ultimo libro di Matteo Righetto Il sentiero selvatico (Feltrinelli, 2024) ambientato durante la Prima guerra mondiale. L’avevamo lasciata ormai anziana nel romanzo precedente La stanza delle mele (2022), una figura così imponente da guadagnarsi un libro tutto per sè. Ora l’autore ci racconta la sua storia per spiegare cosa l’aveva portata a scegliere una vita selvatica partendo dall’infanzia. Da quando bambina di sei anni e a Larcionèi, paese in provincia di Belluno, (nome dell’odierno Livanallongo) sparisce per un intero giorno e una notte. La cercano per tutto il paese e la valle, ma quando Tina riappare, la sua vita e quella dei genitori però non sarà più la stessa. Sì perché Tina di quella notte non ricorda nulla e quando i suoi concittadini la ritrovano miracolosamente sul sagrato della chiesa, impauriti dall’avvenimento e da altri presagi (la morte di uno dei soccorritori e del parroco) si convincono che la bambina sia una strega, una stria. La considerano rapita dai morti.

La montagna non è un set, ma protagonista

“Ma non è un giallo e nemmeno la montagna è un set, anzi è la protagonista della storia, insieme a Tina – tiene a sottolineare subito Matteo Righetto – alla base della storia c’è il rapporto stretto che la bambina instaura con la natura e per questo viene rifiutata dagli abitanti del suo paese. La sua figura ci richiama a ristabilire un equilibrio ecologista, ci dice che dobbiamo reimparare la lingua della natura. Perché oggi ne abbiamo una visione troppo edulcorata, consumistica. Abbiamo completamente perso il rapporto con il mondo del selvatico che poi è anche un concetto legato a quello di fratellanza, rispetto di quello che crediamo diverso e che spesso diventa un capro espitatorio, che sia lo straniero o l’orso e il lupo”.

Docente di Lettere e scrittore, Matteo Righetto vive tra Padova e Colle Santa Lucia sulle Dolomiti in provincia di Belluno. Dal suo romanzo La Pelle dell’Orso (Guanda, 2013)  Marco Paolini ne ha tratto un film. Per Mondadori ha scritto La Trilogia della Patria tradotto in molte lingue, mentre insieme a Mauro Corona il Sillabario alpino, Il Passo del Vento e Da qui alla Luna portato in teatro da Andrea Pennacchi. E’ anche presidente del Cai di Livanallongo-Colle Santa Lucia nel Bellunese. Territorio toccati dai cantieri per le Olimpiadi Milano-Cortina. Ma questa è un’altra storia.


La Natura quindi si salva anche con la Letteratura?

“Assolutmente sì. Soprattutto quando ha la forza di suscitare la consapevolezza di chi magari di questi temi sente parlare poco, come ad esempio i romanzi. Perché la saggistica spesso comunica ad una cerchia ristretta di persone magari già convinte, oppure la pubblicazione scientifica riservata ad una comunità chiusa. L’opera artistica invece, un romanzo, un film, un testo teatrale, raggiunge comunità differenti per cultura e anche per età. E poi la lettura di un romanzo ha un altro segreto: riesce a creare empatia. Ci si riconosce in un personaggio, si gioisce per lui suscita solidarietà o rabbia, Vivi il suo problema e anche la questione ecologica ad un certo punto la senti come propria”.

Si rivede nel personaggio di Tina?

“Non scrivo mai nulla di autobiografico, ma di sicuro anche io come lei mi sento di aver vissuto controcorrente”.

Un po’ strega?

“Se essere strega significa difendere la natura e il mondo selvatico, credere nei valori del 25 Aprile e della fratellanza, sì sono una strega, Anzi, uno stregone”.

Torniamo al romanzo e alla montagna che come ha detto non è un set, ma protagonista. In che senso?

“Il mio è un invito ad osservare la montagna per quello che rappresenta, per la sua biodiversità, per il suo mondo selvatico. É un simbolo della nostra civiltà. La visione romantica, oppure edulcorata o addomesticata della montagna non funziona più. Ancora investire in una monocultura dello sci, oppure tagliare larici secolari per creare una pista da bob inutile a Cortina non ha più senso con il clima che sta cambiando così velocemente. Voglio sperare che questo romanzo inviti ad una riflessione. Senza alcuna idealizzazione”.


Però le comunità che vivono in alta montagna dicono che spesso lo sci sia l’unica possibilità economica per non abbandonare questi luoghi. Lei cosa ne pensa?

“Bisogna tornare indietro da questa visione muscolare del vivere in montagna, cambiare visione economica e sociale. Chiederci: cosa vogliamo da questa montagna che cosa offre di più della pianura?  Possiamo anche andare avanti a costruire impianti di risalita intanto però non nevica più, sprecando l’acqua. La montagna sta diventando un luogo per il puro divertimento. Niente deve ostacolare questa visione, per questo il lupo non lo vogliamo. Io lo chiamo porno turismo e purtroppo proprio le comunità della montagna hanno contribuito eccome a questa evoluzione. Dobbiamo cambiare perché questo sistema non sarà sostenibile a lungo”.

Tina invece insegna che un rapporto diverso con la natura e con il mondo selvatico è ancora possibile?

“La bambina, protagonista del romanzo, ha la capacità di sentire e percepire il contatto con la natura, i boschi, ma soprattutto con il mondo selvatico che gli altri non riescono ad afferrare. Chi le sta intorno, invece, ne ha paura e trova che tutto questo, nasconda un segreto in lei. Perché Tina a dispetto di tutti, sta dalla parte dei lupi e non li teme perché sa che la malvagità non è nella natura, ma nella guerra che sta arrivando su quelle montagne”.

Perché ha scelto di ambientare il libro durante la Prima guerra mondiale. Proprio a Livinallongo teatro di cruente battaglie per il possesso del Col di Lana?

“Penso che, nonostante la prima guerra mondiale abbia coinvolto tantissimi popoli, ci sia poca letteratura che racconti l’impatto avuto sulle piccole comunità locali. Tanti in montagna erano analfabeti e si sono ritrovati sulla linea del fronte da un giorno all’altro quasi senza capirne le motivazioni. Tina racconta le lacerazioni e le violenze che un conflitto porta nel proprio mondo, si chiede perché debba parteggiare per gli uni o gli altri. Solo perché parlano lingue diverse? Ecco che le sue bandiere sono i boschi, le montagne, i lupi”.

Un personaggio moderno, quante Tina ci sono oggi nel mondo?

“Me lo sono chiesto spesso mentre scrivevo il mio romanzo. Anche oggi viviamo in un mondo che sta per esplodere dal punto di vista bellico, con flussi nazionalisti e di disgregazione sociale che avanza da anni. Eppure, ce la prendiamo con i lupi, con gli orsi. Accadeva alla vigilia della Prima guerra mondiale e accade ancora. Bisogna capire che il diverso e il selvatico non sono i capri espiatori delle nostre colpe. É necessaria una rivoluzione culturale”.

Quale potrebbe essere lo scenario di un film tratto dal suo libro?

“Potrei dire nei luoghi dove è ambientato il romanzo, invece dirò ovunque. Non è una storia geolocalizzata, ma è universale. In qualunque paesaggio anche lontano da noi in cui si metta in discussione il rapporto tra umano e non umano; tra pace e violenza; tra diritti e diritti negati. Un luogo in cui bisogna riportare la quiete. Dove bambini come Tina possano tornare a passeggiare nei boschi. In pace”.