La transizione verso un mondo a emissioni zero nel 2050 costerà 3.500 miliardi e mezzo di dollari in più all’anno rispetto alla spesa attuale, ma potrà portare anche alla nascita di 15 milioni di nuovi posti di lavoro. Sono alcune delle conclusioni del report di di McKinsey & Company “The net-zero transition: What it would cost, what it could bring“, che ha analizzato la portata dei cambiamenti economici necessari a raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette, prendendo in considerazione 69 Paesi e i settori che producono l’85% delle emissioni totali. Lo scenario preso in esame è il Net Zero 2050 del Network for Greening the Financial System (NGFS).

Dall’analisi di McKinsey risulta che la transizione avrà natura universale, perché interesserà tutti i settori economici e tutti i Paesi, che dovranno apportare cambiamenti sostanziali ai loro sistemi energetici e di utilizzo del suolo. La portata economica di questa trasformazione sarà significativa: secondo il report il capitale investito in asset fisici dovrebbe ammontare a circa 275mila miliardi di dollari, pari al 7,5% del Pil globale, entro il 2050. Si tratta di circa 9,2 migliaia di miliardi di dollari l’anno, che corrisponde a un aumento di 3,5 mila miliardi rispetto all’attuale livello di spesa annuale, come conseguenza del passaggio dalle attività ad alte emissioni a quelle a emissioni ridotte. Una cifra “approssimativamente equivalente, con riferimento al 2020, alla metà dei profitti delle aziende a livello globale, a un quarto del totale del gettito fiscale e al 7% della spesa delle famiglie“.

 

Come verrà impiegata questa spesa extra? Per esempio, oggi il 65% della spesa per l’energia e l’utilizzo del suolo è destinata a prodotti ad alte emissioni, mentre in futuro il 70% sarà orientato verso prodotti a basse emissioni e le relative infrastrutture, invertendo così la tendenza attuale.

Questo processo avrà conseguenze anche sulla forza lavoro: la transizione potrebbe portare alla creazione di circa 200 milioni di nuovi posti di lavoro diretti e indiretti, e contemporaneamente alla perdita e alla riqualificazione di 185 milioni di posizioni entro il 2050, per un saldo netto positivo di 15 milioni di nuovi posti di lavoro. Ad esempio, la domanda di lavoratori nei settori dell’estrazione e della produzione di combustibili fossili si potrebbe ridurre di 9 milioni di unità, mentre potrebbe calare di 4 milioni la domanda di posti di lavoro nel settore dell’energia basata su fonti fossili. Sull’altro fronte, almeno otto milioni di nuovi posti potrebbero nascere entro il 2050 grazie allo sviluppo delle energie rinnovabili, dell’idrogeno e dei biocarburanti. E anche se l’impatto sul mercato del lavoro “sarà inferiore a quello dovuto ad altri trend come l’automazione, i lavoratori coinvolti dalla transizione avranno comunque bisogno di supporto, formazione e percorsi di reskilling”.

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I cambiamenti, spiega McKinsey, si concentreranno essenzialmente nella prima fase della transizione, con il prossimo decennio che sarà determinante. La spesa potrebbe salire all’8,8% del Pil tra il 2026 e il 2030, rispetto al 6,8% attuale, prima di scendere nuovamente. L’impatto non sarà lo stesso per tutti i Paesi e tutti i settori: i comparti più esposti saranno quelli con prodotti o attività ad alte emissioni, e dal punto di vista geografico i più colpiti saranno i Paesi a basso reddito e quelli con ingenti riserve di combustibili fossili. Ad esempio, sottolinea il report, “aree geografiche molto esposte come le nazioni dell’Africa subsahariana e l’India potrebbero aver bisogno di investire una percentuale di Pil 1,5 volte maggiore rispetto a quella delle economie avanzate”. Ma anche per i Paesi sviluppati “gli effetti potrebbero essere disuguali: ad esempio, in 44 contee degli Usa oltre il 10% dei posti di lavoro è nei settori legati all’estrazione e alla raffinazione dei combustibili fossili, o nell’automotive. D’altra parte, per tutti i Paesi ci sono prospettive di crescita, grazie alla disponibilità di capitale naturale come la luce solare e le foreste”.

Una parte del prezzo sarà pagato dai consumatori, che potrebbero dover spendere di più per l’elettricità, con ripercussioni soprattutto per i nuclei familiari a basso reddito.

“Gli sforzi per la decarbonizzazione potranno inoltre influenzare le abitudini di consumo: si dovranno ad esempio rimpiazzare gli articoli che consumano combustibili fossili, come i veicoli o i sistemi di riscaldamento, e modificare in parte la dieta, riducendo la quantità di alimenti la cui produzione causa grandi quantità di emissioni nocive, come la carne di manzo o di agnello“.

Inoltre, sottolinea il report, i cambiamenti economici “sarebbero molto più significativi nel caso di una transizione non ordinata. Se troppo brusca, o al contrario troppo lenta, la transizione comporterebbe diversi rischi, tra cui carenze dell’offerta di energia e aumenti dei prezzi“. E anche nel caso di una “transizione relativamente graduale, se la dismissione delle attività a elevate emissioni non viene gestita in parallelo allo sviluppo di quelle a basse emissioni potrebbero esserci conseguenze sul fronte dell’offerta, aprendo la strada a oscillazioni dei prezzi e volatilità”. Anche se l’impatto non sarà omogeneo, una transizione ben coordinata offrirebbe invece una serie di benefici.

In questo quadro, sottolinea il report, “i governi e le aziende dovranno agire all’unisono, estendendo i loro orizzonti di investimento e allo stesso tempo agendo immediatamente per gestire i rischi e cogliere le opportunità. Le aziende devono definire e mettere in atto concretamente piani di decarbonizzazione, ovviamente sulla base delle caratteristiche della loro attività, e sul lungo periodo dovranno modificare i loro modelli di business adattandoli al diverso contesto”.

In particolare, per McKinsey “le istituzioni finanziarie giocheranno un ruolo fondamentale nel supportare la riallocazione del capitale su larga scala. I governi e le istituzioni multilaterali potranno usare vari strumenti, di tipo legislativo e fiscale, per stanziare incentivi, supportare gli attori più vulnerabili e sostenere un’azione collettiva“.