Sono capaci di rovinare una vacanza al mare, ma sono anche anello essenziale della catena alimentare marina e fonte di sostanze importanti per l’alimentazione umana e la medicina, in particolare quella rigenerativa. Delle meduse si conoscono soprattutto gli aspetti negativi, il fastidio di non poter fare una nuotata in tranquillità, il dolore che provoca il contatto con i loro filamenti urticanti. Di recente, però, i biologi marini hanno approfondito le ricerche su questi organismi planctonici, perché capirne l’ecologia è essenziale per sfruttare gli elementi che le compongono. Così, se i bagnanti si chiedono cosa fare se si viene punti (uno stick all’ammoniaca è la risposta immediata migliore, secondo il parere degli esperti) e se sia possibile prevenire la loro comparsa sulle spiagge, gli esperti come Isabella D’Ambra, ricercatrice della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, vedono nelle meduse organismi affascinanti preziosi perfino la lotta per sconfiggere il cancro.

Biodiversità

I segreti delle meduse, dalla diffusione al veleno delle punture


D’Ambra è specializzata in ecologia e biologia delle meduse e tra le sue ricerche più significative c’è l’uso potenziale delle meduse catturate accidentalmente nella pesca per ricavare composti di alto valore. Estate e inverno D’Ambra preleva meduse, le osserva e sopporta il fastidio di qualche puntura, sottolineando che “sono organismi dei quali bisogna ricordare l’importanza ecologica e non soltanto i fastidi che causano ai bagnanti”.

Per evitare questi fastidi, si può prevedere in quale spiaggia trovarle?

“In pratica no, – risponde la biologa marina – perché appaiono qua e là in considerazione di due motivi. Il primo riguarda la loro riproduzione, che ha andamento stagionale e ci sono dei momenti in cui magari ci sono, ma sono troppo piccole perché le si possa vedere e soprattutto sentire sulla pelle. Il secondo riguarda il modo in cui si muovono: in quanto organismi planctonici si spostano portate da un gioco di venti superficiali governate dal vento”.

Quindi in alcune zone ci sono venti che ne facilitano la comparsa?

“Nel Golfo di Napoli le si vede più facilmente se c’è scirocco, in generale nel Mediterraneo settentrionale sono appunto i venti caldi che le spingono verso costa”.

Quindi c’entra il caldo?

“Fino a un certo punto, ma questo è proprio un aspetto che cerchiamo di approfondire. I turisti le vedono soltanto in estate e quindi le associano a temperature più elevate, noi che stiamo in mare con ogni stagione le vediamo sempre. I nostri studi cercano di comprendere se l’aumento della temperatura dell’acqua può influire sui loro cicli riproduttivi, se il calore favorisce o inibisce la loro crescita”.

Bastano mille neuroni? Anche le meduse imparano

La diminuzione dei loro predatori, quali le tartarughe marine, può influire sulla loro popolazione?

“Anche qui, mancano ancora dati robusti e c’è grande dibattito in proposito nella comunità scientifica. Si dovrebbe dire che le meduse sembrano beneficiare di un aumento delle temperature e di meno predatori, ma non è ancora certo”.

Inquinamento e degrado ambientale c’entrano?

“Le meduse ci sono sempre state, ma come detto appaiono in maniera casuale e puntiforme. Vengono studiate in modo sistematico da troppo poco tempo, non abbiamo dati robusti sugli ultimi 30 anni per fare collegamenti precisi tra la loro presenza e il riscaldamento globale”.

Qual è la medusa più diffusa nei nostri mari?

“La Pelagia noctiluca, che purtroppo ha un potere urticante notevole. Si riproduce a fine inverno o primavera in acque fredde, non con il caldo. Ma è quella che, appunto, arriva adulta sulle nostre coste in estate. Sempre in estate arriva anche la Rhizostoma pulmo o polmone di mare, che può raggiungere i 50–60 cm di diametro e i 10 kg di peso, ma è praticamente innocua”.

Parliamo del loro potere urticante, bisogna evitare il contatto soltanto con i filamenti?

“Bisogna evitare di toccarla anche quando è spiaggiata, il suo potere urticante resiste e perfino l’acqua in cui è immersa crea problemi soprattutto alle mucose. Le reazioni al suo veleno variano da persona a persona, esattamente come accade per la puntura di vespa. In genere per alleviare i fastidi basta uno stick all’ammoniaca. Ma è proprio il loro veleno che ci interessa di più dal punto di vista medico”.

Perché?

“I nostri studi qui alla Dohrn si concentrano sull’effetto citotossicologico del veleno delle meduse. In altre parole, la sostanza che le meduse espellono per difendersi e immobilizzare le prede può fermare la riproduzione delle cellule: stiamo cercando di capire se si può applicare per fermare le cellule tumorali. Le meduse sono poi un serbatoio di collagene, che non serve soltanto per la cosmesi, ma è indispensabile nella medicina rigenerativa, come struttura su cui attecchiscono le cellule per la ricrescita dei tessuti a livello biomedico. Siamo soltanto all’inizio della ricerca su come capirle e sfruttarle”.

In Asia le mangiano da sempre e alcuni suoi colleghi dicono che anche noi dovremmo concentrarci sul loro sfruttamento a fini alimentari.

“Certo! Si ipotizza che la longevità dei popoli orientali possa dipendere anche dal collagene, dalle proteine e dai composti antiossidanti forniti dalle meduse. In altri Paesi, gli integratori alimentari a base di meduse sono diffusi. In ogni caso, come ogni organismo, sono un tassello fondamentale della catena alimentare, di meduse si nutrono pesci come gli sgombri, cetacei come i delfini, sono cibo per squali e uccelli. Insomma, non sono bellissime soltanto se viste nelle vasche degli acquari”.