Meno emissioni di CO2, più soldi ai Paesi in via di sviluppo. Sono questi, in estrema sintesi, i due poli tra cui oscillerà il G7 dedicato al clima, all’energia e all’ambiente che prenderà il via domenica sera con la cena a cui sono invitati i ministri dei sette Paesi più industrializzati, ma che entrerà nel vivo lunedì, per poi concludersi nel primo pomeriggio di martedì con un comunicato congiunto. Come quelli dedicati alla politica estera (pochi giorni fa a Capri) e all’economia, questi vertici sono preparatori del summit dei capi di Stato e di governo del G7 che si terrà a Borgo Egnazia, in Puglia, dal 13 al 15 giugno. In quell’occasione i leader non potranno affrontare tutti i dossier e dunque i rispettivi ministri si portano avanti con il lavoro.
Nell’evento torinese, padrone di casa (la Venaria Reale) il ministro italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, si discuterà appunto di clima, fonti energetiche e finanza. Questo G7 Clima, arriva dopo la storica Cop28 di Dubai, che ha sdoganato la “transition away” dai combustibili fossili, e pochi mesi prima della Cop29 di Baku, che si concentrerà soprattutto sugli aiuti economici che i Paesi più vulnerabili alla crisi climatica chiedono ai “ricchi”. Tra i Paesi del G7, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone, Italia, Canada, Francia, molti sono quelli che hanno le maggiori responsabilità storiche in fatto di emissioni di CO2. Per questo (e anche in virtù della loro forza economica e tecnologica) è richiesto loro lo sforzo maggiore in fatto di decarbonizzazione. Gli impegni presi in tal senso non mancano, ma, come spesso accade in queste vicende, non vengono mantenuti.
A pochi giorni dal vertice di Torino, l’associazione Climate Analytics ha analizzato i piani di riduzione delle emissioni dei Paesi del G7, riscontrando che nessuno di essi è in traiettoria per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030. “I governi del Gruppo dei Sette sono sulla strada per raggiungere appena la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra necessarie entro il 2030 per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi”, scrivono i ricercatori. “Le economie del G7 dovrebbero ridurre le proprie emissioni del 58% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, per fare la loro parte nel limitare il riscaldamento a 1,5°C. L’attuale livello di ambizione collettiva del G7 per il 2030 è pari al 40-42%, e dunque insufficiente. E le politiche esistenti suggeriscono che il G7 probabilmente raggiungerà solo una riduzione del 19-33% entro la fine di questo decennio”.
Dunque tagliare le emissioni molto di più (sia della teoria che ancor più della pratica). Ma come? Innanzitutto definendo degli Ndc (Contributi determinati a livello nazionale) molto più ambiziosi degli attuali. E poi attuando politiche in grado di conseguirli. Per esempio, impegnandosi a a eliminare la produzione nazionale di energia elettrica da carbone e gas fossile, rispettivamente entro il 2030 e il 2035. Porre fine ai finanziamenti pubblici e ad altri tipi di sostegno ai combustibili fossili all’estero. “L’Italia e il Giappone, l’attuale e la precedente presidenza del G7, sono tra i primi 5 Paesi che sovvenzionano progetti di combustibili fossili nel G20”, fanno notare da Climate Analytics. E ancora: accelerare l’obiettivo (concordato da tutti a Cop28) di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.
Recepiranno tali input i “sette Grandi” riuniti a Torino? Difficile. Il Giappone è molto legato al carbone, l’Italia continua a sognare un ruolo da “hub europeo del gas”, a promettere battaglia contro il divieto europeo di produrre automobili a combustione interna a partire dal 2035 scommettendo sui biocombustibili. Nonostante lo stop a nuove esportazioni di gas naturale liquefatto da parte dell’Amministrazione Biden, gli Usa restano tra i principali produttori mondiali di gas fossili. Così come il Canada. Il G7 procede in ordine sparso anche sul nucleare. La Germania vi ha rinunciato (e c’è chi attribuisce a tale stop la crisi economica tedesca). La Francia continua a puntarci e l’Italia vorrebbe imitarla. Domenica a Torino anche un convegno sull’energia atomica organizzato da Newcleo, Atlantic Council e ISPI, “The Role of Nuclear in the Energy Transition”: tra gli ospiti, il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia Fatih Birol. Lo stesso Birol, sempre domenica a Torino, terrà un discorso alla conferenza degli industriali del G7 (la sigla in questo caso è B7: Business Federations of the Group of Seven), altro evento organizzato in vista del G7 energia e clima.
Tornando al vertice dei ministri: come capiremo se è stato un successo?. “Occorrerà leggere con grande attenzione la dichiarazione finale di Torino per capire come sono andate davvero le cose”, spiega Luca Bergamaschi, cofondatore di Ecco, il think tank italiano per il clima. “Ai temi davvero importanti per il G7 sarà dedicato ampio spazio, mentre poche righe potrebbero essere riservate a tematiche che interessano i singoli governi. Che però poi li potrebbero rivendicare di fronte ai media come un riconoscimento della loro posizione. Potrebbe essere il caso del gas naturale, dei biocombustibili e del nucleare per l’Italia”. C’è infine la finanza climatica. I Paesi ricchi sono ancora lontani dal mantenere la promessa fatta anni fa: 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2025. E dopo il 2025? Non ci sono promesse né impegni. Se ne parlerà appunto a Baku, in Azerbaigian, il prossimo novembre a Cop29. Ma di certo ne parleranno anche i ministri e gli inviati speciali per il clima lunedì e martedì a Torino.