L’evidenza scientifica del cambiamento climatico causato dall’uomo è inconfutabile. Per decenni l’industria del petrolio, gas e carbone ha sostenuto una guerra silenziosa combattuta a colpi di Pr, social media, pseudo-esperti e opinionisti, negando l’evidenza scientifica o instillando il dubbio nelle menti delle persone. “Oggi però si gioca una nuova guerra per il clima, ancora più subdola e divisiva”. Ne è certo Michael Mann, il più importante climatologo e divulgatore americano, professore della Penn State University, seguitissimo in tutto il mondo per il suo lavoro di analisi delle strategie di comunicazione e spin politico sui temi del cambiamento climatico e per il suo contribuito fondamentale alla comprensione scientifica del riscaldamento globale storico.

Ne “La Nuova guerra del clima”, il suo ultimo, rivelatorio, libro, in vendita dal 16 settembre (ed. Ambiente), svela come ancora oggi il mondo dei combustibili fossili continui ad ingaggiare una guerra di comunicazione per rallentare la decarbonizzazione dell’economia. “Oggi non si può più negare il cambiamento climatico. Lo vediamo negli incendi che questa estate stanno devastando l’Italia o la Grecia o nelle ondate di calore record in Nord America o le temperature record in Europa. Dunque per difendere i propri interessi l’industria fossile invece che negare cerca di deviare l’attenzione dalla necessità di decarbonizzare la produzione energetica. Dal negazionismo siamo passati all’inattivismo”.


In che modo si devia l’attenzione?

“Creando rumore. Ad esempio insistendo sul comportamento individuale invece che realizzare politiche sistemiche. Ma anche sostenendo l’inevitabilità della catastrofe, spingendo così molti all’inazione. Oppure promuovendo false soluzioni, come la cattura massiccia del carbonio, la geoingegneria, il gas naturale come alternativa. Demonizzando le rinnovabili che impattano sul paesaggio o spingendo su alternative come la riforestazione. Così si devia dal problema centrale: lasciare petrolio, carbone e gas nel sottosuolo. E nel libro documento questo massiccio interventismo”.


I comportamenti individuali rimangono però importanti.

“Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Ma le compagnie petrolifere sostengono campagne pubblicitarie che insistono su come la responsabilità di decarbonizzare competa al singolo individuo. Il primo calcolatore individuale di impronta carbonica è stato creato da British Petroil nei primi anni duemila per distrarre l’attenzione. Le società dei combustibili fossili sono felici di parlare di ambiente. Però vogliono che la conversazione si fermi al livello degli individui, e non si spinga a quello dell’eventuale responsabilità delle grandi imprese”.


In Europa una parte della grande industria e molti governi, incluso quello italiano, puntano sul gas come combustibile di transizione. La ritiene una falsa soluzione?

“Assolutamente. Il gas naturale produce meno CO2 del carbone, ma l’estrazione rilascia grandi quantità di metano, un altro gas climalterante, molto più potente dell’anidride carbonica. Se usiamo i soldi del Green Deal, indirizzati per decarbonizzare, per sostenere il gas o la cattura della CO2, spendiamo soldi che peggioreranno la crisi climatica riducendo  i soldi per le rinnovabili”.


Nel libro raccoglie numerose prove di come su internet gruppi organizzati lavorano per mettere parti del mondo ambientalista gli uni contro gli altri.

“Negli ultimi anni c’è tantissima attività. Anche da parte di petro-stati come Arabia Saudita o Russia che individuano singoli soggetti e ne fanno bersaglio di campagne violentissime. Anche io sono stato uno di questi. Puntano a dividerci, a farci puntare il dito l’uno contro l’altro. Ho ricevuto decine di attacchi da animalisti che mi accusavano di non parlare a sufficienza del ruolo del consumo di carne nella decarbonizzazione (Mann è vegetariano, nda). L’intero settore agricolo pesa il 15% delle emissioni complessive, il 7% l’allevamento. L’energia e il trasporto compongono oltre i due terzi delle emissioni eppure tutti parlano di alimentazione: insistere su un solo tema è un tentativo di distrazione”.


La decarbonizzazione, dice qualcuno, danneggerà lavoratori e ceto medio.

“Anche qua ci sono tanti esempi di strategie. Chevron ha impiegato una compagnia di Pr per creare una frattura tra mondo ambientalista e Black Lives Matter, insistendo sul fatto che il green deal avrebbe danneggiato le comunità di colore o i lavoratori, come successo con i Gilet Gialli”.


Abbonda la disinformazione anche nel giornalismo.

“Un esempio classico: i volatili uccisi dalle pale eoliche. Questa notizia è nata soprattutto dai media di destra, controllati da conservatori come Rupert Murdoch, con lo scopo di gettare cattiva luce sull’eolico”.


Per comunicare serve essere catastrofici o ottimisti?

“Mentre comunicare l’urgenza è importante, essere catastrofici può portare al disimpegno. La scienza ci dice che non c’è un riscaldamento incontrollato, che se riusciamo a dimezzare le emissioni nel prossimo decennio possiamo contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C. Il futuro catastrofico invece è un futuro dove non possiamo o riusciamo ad agire. Invece la scienza ci dice che la nostra civiltà può continuare a prosperare. Solo non facendo nulla gli scenari più cupi potrebbero verificarsi”.


Lei rimane ottimista.

“Abbiamo un movimento globale per il clima giovanile che vede questo problema come la sfida morale che definisce il nostro tempo. Negli Usa non c’è più un presidente che nega che il cambiamento climatico sia reale. Sempre più paesi si impegnano in maniera concreta.  Rimane ancora un divario tra le promesse fatte dai politici e le politiche che sono in atto. Dobbiamo ancora affrontare questa battaglia monumentale. Dobbiamo usare la nostra voce, il voto per fare pressione sui politici. Ce la possiamo fare”.