Si muore di caldo, anche sul lavoro. Eppure, a livello mondiale e anche italiano, mancano ancora leggi o normative univoche adattate agli impatti della nuova crisi del clima per fissare dei parametri in grado di stabilire quando è “troppo caldo per lavorare”. Spesso ci si orienta attraverso ordinanze territoriali, oppure in altri Stati, con leggi relative agli impatti del freddo, ma non alle temperature massime che oggi si possono facilmente raggiungere a causa del riscaldamento globale.

Mentre in questa estate bollente molte Regioni italiane hanno ordinato per esempio lo stop al lavoro nei cantieri o nei campi nelle ore roventi – chi giocando d’anticipo e chi invece ancora in fase di firma – a livello globale nuovi report ci avvisano della pericolosità di lavorare in condizioni di caldo estremo.

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In aumento i lavoratori esposti a stress termico

Sappiamo bene che lo stress termico è un killer invisibile che uccide: può farlo sia nell’immediato sia sul lungo termine, portando per esempio a malattie croniche gravi, al sistema circolatorio o respiratorio, proprio a causa di una esposizione dei lavoratori a temperature estreme. Il rapporto “Heat at work: Implications for safety and health – A global review of the science, policy and practice” da poco pubblicato dall’International Labour Organization (ILO) ci dice proprio questo: cresce nel mondo il numero di lavoratori esposti allo stress termico con conseguenti possibili rischi per la salute. Su 21 Paesi analizzati la stessa ILO già ad aprile indicava come ormai la crisi del clima porti a un mix di rischi che impatta sulla salute di 2,4 miliardi di lavoratori nel mondo e che il caldo estremo da solo causi 22,85 milioni di infortuni sul lavoro. Lo stesso segretario generale dell’Onu Antonio Guterres commentando il report ha sottolineato la necessità di “affrontare la sfida dell’aumento delle temperature e garantire alle lavoratrici e ai lavoratori una protezione fondata sui diritti umani che sia più forte e efficace”.

Ordinanze regionali: stop al lavoro nelle ore roventi

In questi giorni in cui in diverse città italiane si sono sfiorati i quaranta gradi a seconda delle Regioni sono state emesse ordinanze nel tentativo, soprattutto per le persone che lavorano all’aperto, di salvaguardare la salute. Sebbene ci siano abitudini e indicazioni da tutti condivise – come quelle di consigliare il lavoro in ambienti climatizzati oppure di effettuare turni in orari meno caldi (come al mattino presto o di notte) – nell’affrontare il tema “caldo e lavoro” le Regioni italiane si muovono in maniera indipendente, tramite ordinanze.

Alcune, come per esempio Lazio, Toscana, Molise, Abruzzo, Campania, Sicilia, Sardegna e Umbria si sono mosse giocando d’anticipo con ordinanze (molte fino al 31 agosto) per vietare l’impiego di lavoratori a rischio stress termico nelle ore più calde, dalle 12:30 alle 16. L’Emilia-Romagna, proprio di recente, con un’ordinanza ha deciso per il divieto, nella stessa fascia oraria, dal 29 luglio e fino al 31 agosto nel settore agricolo e florovivaistico, nonché nei cantieri edili e affini. Altre come il Piemonte, anche sotto pressione dei sindacati che hanno fatto richiesta di ordinanza, stanno valutando e presto metteranno nero su bianco le decisioni. In altri casi poi, per esempio in Liguria, non sono state ancora emesse ordinanze in tal senso ma le varie realtà o aziende locali hanno fatto scelte interne per tutelare i lavoratori.

Di recente ad esempio a Genova dopo Fincantieri, anche il cantiere del Waterfront tramite accordo sindacale con Fillea Cgil ha rimodulato l’orario di lavoro: tra le ore 6 e le ore 12 e, in casi di eccezionali, dalle 17 alle 20. In generale ad essere più esposti sono naturalmente i lavoratori che operano nei cantieri, nel settore dell’agricoltura, ma anche giardinieri, pescatori o professioni in cui si resta a lungo all’aperto.

Come si regolano gli altri Paesi

In Europa, uno dei continenti dove la crisi del clima corre più velocemente portando a fenomeni meteo sempre più intensi e ondate di calore importanti, non c’è uniformità nelle scelte caldo-lavoro. A tal proposito in Gran Bretagna lo scorso anno avevano proprio richiesto una legge riassunta con “troppo caldo per lavorare”, una norma in grado di proteggere i lavoratori dall’obbligo di operare sotto temperature torride. Legge che non c’è ancora, anche se esistono vecchi regolamenti che indicano l’obbligo di posti di lavoro “confortevoli” e “sicuri”, con limiti per le temperature minime (non sotto i 16 gradi in un ambiente di ufficio) ma non massime.

Anche in Francia non esiste una temperatura massima che stabilisce quando non lavorare, ma viene richiesto ai datori di lavoro di garantire “condizioni di sicurezza” per i dipendenti, così come i lavoratori edili secondo il “Code du Travail” devono essere riforniti di almeno 3 litri d’acqua al giorno o della possibilità di interrompere il proprio lavoro se credono di temere per la propria salute. In Portogallo sul posto di lavoro la temperatura va compresa fra i 18 e i 22 gradi, in determinati casi anche 25. Per legge va posta attenzione anche all’umidità (tra il 50 e il 70%). In Germania c’è il limite dei 26 gradi, ma non è sancito dalla legge: oltre, sono i datori di lavoro a dover garantire sicurezza per i dipendenti. Più chiara la Spagna dove per lavorare in ufficio è richiesta una temperatura tra i 17 e i 27 gradi.

Di recente poi negli Stati Uniti l’amministrazione Biden ha proposto per la prima volta una legge con l’intenzione di proteggere dal caldo i lavoratori, indipendentemente che la professione si svolga al chiuso o all’aperto, una proposta che stabilisce indici di calore da applicare a livello nazionale e richiede ai datori, tra le varie misure, di offrire sempre acqua potabile.

Orientarsi grazie a strumenti online

In attesa di leggi e norme univoche, magari europee a seconda delle condizioni climatiche dei vari Paesi, già oggi esistono però diversi strumenti online per informarsi sul tema caldo-lavoro. Per esempio la piattaforma Forecaster.health permette, anche in base alla fascia di età, di comprendere dove e quando le ondate di calore saranno più importanti ed impattanti. Sviluppato con il sostegno dell’Inail e del Cnr, in Italia c’è poi il progetto “Worklimate” che permette di osservare le mappe nazionali di previsione del rischio di esposizione al caldo proprio al fine di salvaguardare i lavoratori, soprattutto quelli che operano all’aperto. Infine di recente l’Inps tramite messaggio sul suo sito ha precisato le nuove disposizioni relative alla cassa integrazione, ammortizzatori sociali e trattamenti vari collegati alle ondate di calore, ricordando che in caso di temperature oltre i 35 gradi, anche se solo percepiti, è già possibile chiedere la cassa integrazione.