L’obiettivo del Green Deal è fare dell’Europa il primo continente climaticamente neutro al 2050. Declinato nel settore dei trasporti, questo significa che le emissioni nette di gas serra (GHG) prodotte da aerei, navi, veicoli pesanti e auto dovrebbero diminuire del 90% entro i prossimi 26 anni. Il problema è che questo obiettivo, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, al momento resta un miraggio: perché i trasporti sono l’unico grande settore economico dell’Ue in cui le emissioni sono aumentate negli ultimi 30 anni.
I dati dell’Agenzia, pubblicati lo scorso ottobre nel rapporto “Greenhouse gas emissions from transport in Europe”, fotografano l’ultimo miglio della curva ascendente: dopo sei anni di crescita costante delle emissioni nei trasporti, si legge nel documento, c’è stato un calo nel 2020 in Europa causa pandemia, poi le emissioni sono riprese a crescere dell’8,6% nel 2021 e del 2,7% nel 2022. E sicuramente continueranno a farlo fino al 2024. Le previsioni dell’Agenzia avvertono che di questo passo, senza misure aggiuntive a livello europeo, le emissioni nei trasporti raggiungeranno al 2030 la quota del 2007, con un balzo del 32% rispetto ai livelli del 1990. Solo due anni dopo, cioè nel 2032, inizieranno a scendere.
In questo scenario, è vero che i trasporti sono diventati più efficienti. La maggior parte delle automobili, dei camion, delle navi e degli aerei emette una minore quantità di biossido di carbonio per chilometro rispetto a prima. Tuttavia, secondo l’Agenzia, tutti questi progressi non sono stati sufficienti a compensare l’aumento del volume dei trasporti merci e passeggeri. Trasporti che, ad oggi, sono responsabili complessivamente di circa un quarto delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’Ue. Di queste emissioni, quasi tre quarti derivano dal trasporto su strada e più della metà proviene dalle automobili.
Sui veicoli pesanti, responsabili del 25% delle emissioni prodotte dal trasporto stradale in Europa, un passo in avanti è stato fatto di recente con l’approvazione da parte del Consiglio europeo di un nuovo regolamento che introduce misure più stringenti per il settore: riduzione del 45% delle emissioni di CO2 a partire dal 2030 (in aumento rispetto al 30% previsto dalle norme attuali); del 65% a partire dal 2035; e del 90% a partire dal 2040. Tutti target che si applicheranno agli autocarri medi, a quelli pesanti di peso superiore a 7,5 tonnellate e agli autobus interurbani. Per gli autobus urbani, invece, le nuove norme introducono un obiettivo di emissioni zero entro il 2035, con un target intermedio del 90% entro il 2030. Peccato che l’Italia abbia votato contro il via libera definitivo al nuovo regolamento, unendosi a Polonia e Slovacchia, mentre la Repubblica Ceca si è astenuta.
Sulle auto invece la sfida green sembra più complicata, anche a livello legislativo. A farlo capire è la Corte dei conti europea che ha analizzato in un’indagine le emissioni di CO2 prodotte nei 27 Paesi membri, evidenziando che “gli obiettivi” comunitari sulle “emissioni per le autovetture nuove non saranno raggiungibili finché mancheranno prerequisiti importanti”. La premessa dei revisori dei conti Ue è che le emissioni reali prodotte dalle auto tradizionali, che costituiscono ancora quasi tre quarti delle immatricolazioni di veicoli nuovi, “non sono diminuite”. Anzi: negli ultimi dieci anni, le emissioni dei veicoli diesel sono rimaste costanti, mentre quelle delle vetture a benzina sono calate in modo marginale (-4,6 %). Il progresso tecnologico in termini di efficienza del motore è stato poi controbilanciato dall’aumento della massa dei veicoli (in media circa +10 %) e della potenza dei motori (in media +25%). E per le auto ibride le emissioni reali di CO2 tendono a essere molto superiori a quelle registrate in laboratorio. Per “cambiare marcia”, la soluzione sarebbe quella di incentivare l’uso dei veicoli elettrici, i soli che possano “aiutare l’Ue ad avvicinarsi a un parco auto a zero emissioni” entro il 2035. Ma gli ostacoli, avverte la Corte, restano molti e di difficile risoluzione. Tra i principali “l’accesso alle materie prime per produrre un numero sufficiente di batterie”, “l’inadeguatezza delle infrastrutture di ricarica” e “i costi iniziali più elevati delle auto elettriche”.
Rispetto all’industria automotive, il futuro sembra ancora più incerto per i trasporti aerei e marittimi. Qui, ravvisa l’Agenzia, i progressi tecnologici sono più lenti e più costosi. Con il risultato che le emissioni cresceranno invece di diminuire nei prossini anni. Per due motivi: nel primo caso, dopo lo shock pandemico, l’attività del traffico aereo, che pesa oggi circa il 13% sulle emissioni totali dei trasporti, è aumentata del 24% nel 2021, del 48% nel 2022 e tutto lascia presagire che raggiungerà i livelli del 2019 entro il 2025, forse già alla fine del 2024. Nel secondo caso, il traffico marittimo già oggi movimenta il 90% delle merci in volume e il 70% delle merci in valore a livello globale. Il problema è che la svolta “sostenibile” della flotta mondiale richiede tempi più lunghi rispetto ai diktat europei. Con l’aggravante che questa svolta è appena iniziata: solo l’1% delle navi utilizza combustibili diversi dal petrolio e derivati.