PALERMO – Visto con gli occhi di Legambiente è un paradosso bello e buono: “Mentre si bloccano i parchi eolici, in nome della transizione ecologica si aumenta la produzione di idrocarburi”, lo sintetizza il presidente dell’associazione in Sicilia, Gianfranco Zanna. Nel mare a sud dell’isola, infatti, la settimana appena trascorsa ha spinto la produzione energetica verso le fonti non rinnovabili: giovedì il decreto legge Energia ha scommesso sui giacimenti già attivi nel mare a sud di Gela per far aumentare la dotazione di gas nazionale e calmierare così le bollette per le imprese energivore, dopo che martedì l’Assemblea regionale siciliana aveva invece dato parere contrario alla realizzazione del più grande parco eolico galleggiante d’Europa, proposto da Toto Holding per il tratto di mare a 45 chilometri delle Egadi.

Quella che si gioca sugli idrocarburi è una partita che vale circa due miliardi di metri cubi di gas all’anno, più della metà della produzione attuale. Al momento, infatti, i giacimenti italiani ne estraggono 3,2 miliardi: il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani vuole portare quella quota a 5 miliardi senza nuove trivellazioni, puntando cioè sull’aumento della produzione da impianti già in funzione. La gran parte della quota aggiuntiva dovrebbe arrivare dalla piattaforma Cassiopea, un impianto gestito dall’Eni nel mare che si trova di fronte alla provincia di Caltanissetta.

“Oltretutto – protesta il portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli – in questo modo sarà impossibile centrare l’obiettivo di tagliare del 70% entro il 2030 il ricorso alle fonti fossili e ovviamente anche quello di abbandonare del tutto gli idrocarburi entro il 2050″.

La disputa, però, è estremamente complessa. Per sfruttare il gas proveniente Cassiopea e dalla vicina Argo, anch’essa dell’Eni, l’azienda del Cane a sei zampe sta costruendo un impianto di trattamento a Gela con un investimento da 700 milioni in tre anni, e i sindacati tifano ovviamente per l’aumento della produzione: “Grazie a questa struttura – stima la Filctem-Cgil di Caltanissetta – saranno creati circa cento posti di lavoro per la costruzione dell’impianto e quindici impieghi a regime nella gestione della struttura”.

Il progetto Med Wind

Renexia, la controllata di Toto Holding che si occupa delle energie rinnovabili, ha pensato per il Canale di Sicilia Med Wind, il parco eolico offshore flottante più grande d’Europa: 190 turbine poste all’apice di torri di 150 metri generebbero una potenza complessiva di 2 Gigawatt e produrrebbero così ogni anno 9 Terawattora di energia elettrica, sarebbe a dire quanto basta per soddisfare le esigenze di 3,4 milioni di famiglie.

Lo stop della soprintendenza

La presenza degli impianti in mare, fra l’altro, consente al Comune di puntellare il bilancio con gli incassi provenienti dall’Imu per le piattaforme in acqua: “C’è stata una battaglia legale per ottenerla, ma abbiamo vinto – sorride il sindaco, Lucio Greco – incassiamo ogni anno circa 250 mila euro. In passato siamo arrivati anche a un milione all’anno”. Proprio Gela, però, è teatro di un paradosso analogo: “Pochi anni fa – ricorda Zanna – la soprintendenza bloccò un impianto eolico in mare perché deturpava il paesaggio. Le trivelle vanno bene, le pale eoliche no”.

Pro e contro

Anche l’impianto progettato per le Egadi, d’altro canto, vede in campo posizioni contrastanti. Legambiente, Wwf e Greenpeace tifano per il parco eolico e in un appello congiunto scrivono: “Nella piena consapevolezza che il progetto insiste in un’area di estrema delicatezza ambientale e di importanza internazionale per la presenza di importanti rotte migratorie va riconosciuto che questo presenta degli accorgimenti, a partire dal distanziamento tra pala e pala di ben 3,5 kilometri, che contribuiscono a migliorare notevolmente il suo impatto visivo e naturalistico”.

La biodiversità e le risorse ittiche

È proprio questo il nodo, secondo Renexia: “Quello a difesa della pesca – annota Mauro Fabris, l’ex sottosegretario ai Lavori pubblici dei governi D’Alema – è un argomento contraddetto dalle ricerche che abbiamo condotto sui fondali dell’area interessata. Le torri sono molto distanti fra loro e oltre il 65% di quella zona non dà segni di vita. Non c’è gambero rosso, non c’è fauna forse a causa della pesca a strascico. Così si creerebbe una zona di ripopolamento a vantaggio delle fasce circostanti“. 

Contro il progetto si sono schierati invece i Comuni della zona, guidati dal sindaco di Trapani Giacomo Tranchida e da quello di Favignana, l’ex presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione: “Un impianto del genere – osserva Tranchida – impatterebbe su pesca, biodiversità e flussi di navigazione. Di più: in quella zona ci sono i nostri tesori archeologici

I tesori archeologici

Proprio facendo leva su quest’ultimo punto la questione è arrivata sui banchi del Parlamento regionale, dove l’ha portata il presidente della commissione Lavoro dell’Ars, il leghista Luca Sammartino: “Il sito in cui potrebbero sorgere i parchi eolici – ha scritto nella mozione, poi approvata – copre l’area del Banco Scherchi e del Banco Talbot, formazioni rocciose sottomarine che nel corso dei secoli hanno causato l’inabissamento di navi e custodiscono, tra le altre, le vestigia di imbarcazioni risalenti all’epoca degli scambi con l’antica Cartagine”.

L’inchiesta

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Renexia si dice però sicura del contrario: “In quel tratto di mare – garantisce l’azienda – i ricercatori non hanno individuato alcun sito di interesse storico e archeologico. Questo dato è stato certificato dall’Istituto Anton Dorhn”. L’ultima parola spetta al ministero. Ma il paradosso siciliano è già nella cronaca dell’ultima settimana.