È già successo 5 milioni di anni fa, i paleontologi lo hanno letto nei fossili e per questo ora avvertono: il cambiamento climatico nel Pliocene ha portato all’estinzione delle salamandrine in gran parte d’Europa e se non si preserverà l’habitat in cui vivono potrebbero scomparire anche dall’Italia, unica zona in cui ancora si trovano. Salamandrina, genere di anfibi che comprende due specie, Salamandrina terdigitata e Salamandrina perspicillata, è endemica del nostro Paese, dove vive sugli Appennini in valli fresche e umide, o comunque dove ci siano piccoli fossi dove depone le uova sotto e tra i ciottoli dei ruscelli. La sua predilezione per ambienti che potrebbero risentire di un innalzamento delle temperature fa dire agli esperti che il cambio climatico potrebbe ora farla scomparire anche dal nostro Paese.
A queste considerazioni è arrivato appunto uno studio pubblicato su Scientific Reports di Nature dai paleontologi dell’Università di Torino e dell’Istituto Catalano di Paleontologia Miquel Crusafont, nel quale si metttono in luce le potenziali connessioni tra i cambiamenti climatici del passato e le cause della scomparsa in gran parte d’Europa delle salamandrine, che oggi rappresentano l’unico genere di vertebrato esclusivo della Penisola Italiana. I cambiamenti climatici previsti per i prossimi decenni a causa delle crescenti emissioni di CO2 e altri gas serra, osservano i ricercatori, potrebbero causarne l’estinzione definitiva.
“Sebbene le salamandrine non siano ancora inserite tra gli organismi a rischio di estinzione, dovremmo avere un particolare occhio di riguardo per questo piccolo anfibio, che rappresenta un’inestimabile ricchezza del patrimonio naturalistico italiano” sottolinea infatti Loredana Macaluso, attualmente ricercatrice al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino e prima autrice dell’articolo che riporta anche le firme di Andrea Villa, ricercatore post-doc presso all’Istituto Catalano di Paleontologia Miquel Crusafont di Barcellona, del professor Giorgio Carnevale e del professor Massimo Delfino, coordinatore del progetto. Macaluso spiega che sulle salamandrine esiste da alcuni anni un filone di ricerca che vede particolarmente attenta, oltre al suo dipartimento, la Societas Herpetologica Italica, che ha contribuito anche con il conferimento di un premio Barbieri. I ricercatori hanno analizzato i fossili, confrontando le caratteristiche morfologiche dei reperti fossili e quelle delle salamandrine attuali e hanno riscontrato che da un certo punto nel passato non c’è più traccia di salamandrine tra i fossili d’Europa.
“Lo studio di Macaluso e colleghi – sottolineano dall’Università di Torino – rientra nella paleobiologia della conservazione e rappresenta uno dei primi tentativi di collegare in modo diretto ciò che il record fossile ci testimonia e il futuro degli anfibi viventi, che sono in grave pericolo a causa dei cambiamenti climatici che stiamo inducendo tramite un utilizzo sconsiderato delle tecnologie a nostra disposizione, mostrando ancora una volta l’importanza di provvedimenti su larga scala per ridurre in modo più rapido possibile le emissioni di CO2.
“Dalla fine del Miocene -. dice Macaluso – non abbiamo più trovato fossili attribuibili a Salamandrina, se escludiamo un caso limite tra Miocene e Pliocene della Grecia. Sappiamo che alla fine del Pliocene, circa 2 milioni e mezzo di anni fa, sono iniziate le forti oscillazioni climatiche collegate alle glaciazioni. Basandoci su metodi di modellizzazione della nicchia climatica, abbiamo evidenziato che durante i cicli di glaciazione degli ultimi milioni di anni il clima della maggior parte dell’Europa non era adatto alle salamandrine. È plausibile che i cambiamenti climatici avvenuti in questo intervallo di tempo ne abbiano causato l’estinzione da tutta l’Europa a esclusione dell’Italia peninsulare”.
Negli scenari elaborati dai climatologi le aree in cui oggi si trovano le salamandrine potrebbero essere interessate da un aumento delle temperature, non da una diminuzione: perché allora dobbiamo temere per la sopravvivenza delle salamandrine? “Perché si ridurrebbe l’idoneità climatica per questi anfibi – spiega Macaluso – Le proiezioni sui modelli climatici futuri, sotto diversi scenari di riduzione di emissioni di CO2, hanno messo in luce una drastica riduzione delle aree con elevata idoneità climatica per le salamandrine anche all’interno della nostra penisola nei prossimi 50 anni. In altre parole, non per forza i motivi dell’estinzione sarebbero gli stessi che ne hanno causato la scomparsa in passato, poiché il riscaldamento climatico ha tutte le potenzialità per causare problemi”.
Preservare gli ecosistemi delle salamandrine non è indispensabile soltalto per salvaguardare questa specie. Le zone umide dell’Appennino ospitano infatti molte altre specie di anfibi a rischio di estinzione proprio a causa del riscaldamento climatico e della diffusione delle specie aliene. Il Wwf ritiene che gli anfibi , che contano oltre 6.500 specie nel mondo, sono in assoluto la classe di vertebrati più minacciata di estinzione del Pianeta: “il 33% delle specie di rane, rospi, salamandre e tritoni oggi esistenti è a vario grado in pericolo di estinzione”, sostiene l’associazione, che aggiunge: “La perdita delle zone umide corre a velocità 3 volte maggiore rispetto a quella delle foreste (Gardner and Finlayson 2018).
Prendersi cura della salamandrina è poi una priorità anche per altre ragioni.”Non solo questa salamandra rappresenta l’unico genere di vertebrato endemico della Penisola Italiana, – continua Macaluso – ma è anche un animale unico a livello mondiale sia per quanto riguarda il suo aspetto colorato, sia per quanto riguarda il suo particolare comportamento. Ricordiamoci che questo abitante del sottobosco italiano è una delle poche salamandre del mondo a mostrare il cosiddetto unkenreflex, un comportamento con cui mostra l’accesa colorazione di ventre, zampe e coda per intimorire i predatori, ed è l’unica al mondo attualmente nota per essere in grado di alzarsi sulle zampe posteriori e assumere una posizione bipede in determinate circostanze”.