Che l’Inghilterra incoroni un Re che impugna come scettro un annaffiatoio appena può è una piccola buona notizia per noi pollici verdi. Aggiungiamoci che Carlo è un ecologista da 50 anni, che compensa l’impronta di carbonio dei suoi viaggi e che dagli Anni 80, con la tenuta biologica di Highgrove, ha trasformato la passione in una missione ambientale. Facile nei suoi panni, vero, ma tale sensibilità non è scontata e l’esempio ha molto seguito. La notizia, dunque, calza perfettamente per la nostra rubrica di giardinaggio sostenibile; concedeteci la puntata un po’ “british” perché l’Inghilterra fa ancora molta scuola in materia di verde. Parliamo di erba alta.

I prati non tosati tra le coltivazioni reali vantano un’incredibile biodiversità, con decine di fiori e insetti considerati a rischio di estinzione e il movimento no mow, ovvero “niente taglio”, fa proseliti in tutto il mondo. Oltremanica è appena ripartita la campagna di sensibilizzazione No Mow May, “niente falciatura in maggio”, con l’invito a chiudere in ripostiglio il tosaerba; un’iniziativa dell’organizzazione Plantlife per ricostituire la biodiversità selvatica, contrastare il cambiamento climatico e connettere le persone con la natura. Come fanno questi punti ad essere correlati? E come trasformare il quadrato di verde davanti casa in una piccola prateria? In dieci punti, i consigli per il prato secondo i dettami del wildlife gardening, un approccio che incoraggia la natura selvatica.

Niente taglio dell’erba: ecco perché

No Mow May raccomanda di non tagliare il prato in maggio. Ciò significa lasciare il tempo ai fiori selvatici di crescere e colonizzare il terreno, dando nutrimento agli impollinatori e rifugio a molti altri insetti. Tra i soggetti più fotografati con l’hashtag #NoMowMay negli anni scorsi, dente di leone, trifoglio, nontiscordardimé e pratoline, che sono i primi ad arrivare in un prato naturale, ma quando i tagli si diradano le sorprese continuano a sbocciare man mano che la biodiversità (vegetale e animale) galoppa. Un mese è appena il minimo sufficiente per permettere ai fiori di maturare i semi, è vero, ma è un ottimo inizio per cambiare “look” al prato e per riflettere su molti vantaggi. L’erba non tosata, infatti, riequilibra la biodiversità di tutto il giardino e dà ospitalità a organismi che aiutano anche le piante intorno, controllando i parassiti e l’impollinazione. “Se l’erba sta bene, è quasi certo che il resto andrà a posto da solo”, ha spiegato Monty Don, celebre conduttore del programma di giardinaggio Gardeners’ World della Bbc e sostenitore della “liberazione” dei prati dall’ossessione del taglio.

Meno rumore, meno benzina, meno soldi spesi

Oltre ai vantaggi per la vita selvatica e per il giardino, mettere fuori uso il rasaerba per almeno un mese ha risvolti positivi per il clima perché riduce l’impronta di carbonio del giardinaggio. Riferendoci al dato inglese, per tosare i prati si consumano 45 milioni di litri di benzina, corrispondenti a 80 mila tonnellate di CO2. “Rasare consuma molto carburante fossile, fa un pessimo rumore e fa un danno alla natura. Al contrario, non tagliare è un’azione passiva che si può adottare facilmente per incoraggiare la vita di insetti, piccoli mammiferi e invertebrati“, ha sintetizzato Don. Inoltre, erba alta significa più polveri sottili, più inquinamento e più carbonio trattenuti a livello del suolo. I vantaggi di questa pratica sono da tempo adottati nel verde pubblico dove, anche per il risparmio che ne deriva, si applica il taglio differenziato dei prati, rasando soltanto nelle aree di massima fruizione e lasciando che in altre zone l’erba porti a compimento il suo ciclo, dando il tempo ai semi di maturare e alle farfalle di involarsi. Perché ciò possa compiersi al meglio, dovremmo tagliare l’erba solo due volte all’anno, a inizio estate e poi a inizio primavera. Possiamo anche mantenere aree di erba con diverse altezze, una alta e l’altra tagliata di rado a circa 7 centimetri, per ospitare anche una gran varietà di piante basse.

Contro la mania del controllo

Il cambiamento culturale in atto rende il prato “all’inglese” sempre più fuori moda, a favore di un verde più spontaneo, specchio di una visione colta e accogliente. “Il prato inglese e il prato fiorito sono come le diverse facce della nostra personalità: quella che necessita di sicurezza, ordine e controllo e quella che si strugge di passione, cambiamento, avventura e vitalità”, scriveva già nel 2015 l’ingegnere agronomo Markus Wieden nell’introduzione di Nativa dei prati, della ricercatrice Elisa Tomat (Maestri di Giardino Editori). “Il prato inglese, di certo, è un inno alla battaglia; è infatti composto da specie selezionate di Graminacee che devono essere rasate almeno dieci volte all’anno, che necessitano di regolari irrigazioni e concimazioni e che non sono in grado di difendersi dagli attacchi delle pratoline e del tarassaco. Il prato fiorito propone invece una tregua, proprio perché è un miscuglio di decine di specie, che vanno falciate solo due volte all’anno e che sono in grado di guarire in modo autonomo le proprie ferite, siano esse causate da siccità, alluvioni o buchi di talpa…”. Tomat è stata cofondatrice di SemeNostrum, lo spinoff dell’Università degli Studi di Udine che studia e commercializza i semi più adatti per la ricostituzione degli habitat naturali e quando parla di prato fiorito non intende i miscugli di fiori venduti per la loro bellezza, ma un giusto mix di piante autoctone che riesce a sostenersi da solo in un determinato ambiente. Se dobbiamo partire da zero per creare una prateria, dunque, scegliamo semi della nostra zona perché questo premia in termini di biodiversità e di sostenibilità.

L’esempio dei prati stabili

A tal proposito, fa riflettere l’esempio dei prati stabili. Questi prati diffusi in diverse regioni italiane, ma sempre più a rischio, sono un incredibile serbatoio di biodiversità e lo sono da centinaia di anni, senza alcun trattamento, senza concimazione e, spesso, senza irrigazione. Vi convivono fino a 400 specie di flora e fauna, anche endemiche, formando un ecosistema resiliente che riesce a fissare molto carbonio e che resiste al riscaldamento globale. L’unico intervento dell’uomo consiste nello sfalcio del fieno, effettuato secondo antiche tradizioni che rispettano il ciclo vitale dell’erba, poche volte l’anno. Per questi ecosistemi agrari, nel Parco del Mincio è stata ventilata la candidatura a Patrimonio Mondiale culturale e naturale dell’Unesco. Tali habitat fanno capire l’importanza del lavorare di meno per ottenere più biodiversità: niente pesticidi (che creano disequilibrio) e niente concimazioni (che favoriscono solo alcune specie), ma tagli molto diradati.

Gli insetti sono belli e utili

Nel wildlife gardening il giardino deve funzionare il più possibile come un ecosistema e gli insetti – più o meno amici delle piante – sono ingredienti fondamentali del prato alto. A partire da maggio, anche la più patinata rivista di giardini al mondo, Gardens Illustrated, suggella questa visione con la rubrica dell’esperto di resilienza verde Tom Massey “Small Stories”, piccole storie, in collaborazione con la Royal Entomological Society. I protagonisti sono proprio gli insetti del giardino e le dritte per il giardinaggio insect-friendly che bandisce i pesticidi e si avvale della ricchezza biologica per riportare equilibrio. Massey promette di riportarci alla innata fascinazione dei bambini per gli insetti. A tal proposito, Jonathan Gallesi cofondatore del nido e scuola d’infanzia Il Giardino delle Birbe di Parma ci ha raccontato che il progetto educativo unico di cui si occupa, con tanto di serra delle farfalle, nasce proprio da un desiderio dei più piccoli.

“Avevamo realizzato insieme un orto didattico. I broccoli sono stati infestati dai bruchi verdi delle cavolaie e quando abbiamo iniziato a catturarli, i bambini hanno chiesto a gran voce di salvarli. Così è nata l’idea di coltivare con loro delle piante apposta per i bruchi e di salvare le larve lungo i fossi nei giorni degli sfalci”.


Prima di dichiarare guerra a qualsiasi insetto, dunque, pensiamo a quanto possa essere bello visto con occhi da bambini (ma ci sono coleotteri che sembrano gioielli anche a noi adulti). Nel prato arriverà sicuramente un predatore a contenerne l’espansione; se invece una cetonia ci sta mangiando l’unica rosa del balcone, allontaniamola a mano, senza veleni, per evitare danni a tutto il resto. Per esempio alle coccinelle, ottimi mangiatori di afidi, ai sirfidi (mosche impollinatrici che indossano il vestito a strisce delle api per ingannare i predatori ed hanno larve che mangiano i parassiti), alle forbicine che proteggono l’orto, alle farfalle e ai ragni granchio, indicatori di biodiversità…

Attenzione: non esistono le erbacce

A questo punto viene naturale chiedersi cosa sia un’erbaccia. I cardi dalle foglie scultoree come li consideriamo? E papaveri, verbaschi e malve? In un giardino privato, limitiamoci semplicemente a “dirigere un po’ il traffico” evitando che una sola pianta prenda il sopravvento, perché tutte le specie che arrivano da sole – non soltanto le più belle – hanno un loro ruolo ecologico.

In Malerbe amiche (Aboca), Valentino Mercati e Stefano Benvenuti spiegano come molte infestanti siano legate alla sopravvivenza di insetti utili per la difesa dai parassiti: l’ortica, il cardo campestre e il chenopodio, per esempio, nutrono molti predatori durante il periodo estivo; l’odiato romice è l’erba che meglio attira e sostiene le coccinelle, perché gli afidi di cui si cibano apprezzano parecchio la sua linfa (così non vanno sui nostri fiori). Malva, consolida, scabiosa, silene, dianthus e fiordaliso nutrono gli impollinatori. La rubia che si attacca ai nostri pantaloni nutre i bruchi della falena colibrì, il finocchio selvatico alimenta quelli del macaone… Molte infestanti, inoltre, proteggono il suolo dall’erosione. Ciò che conta, dunque, è premiare la complessità biologica affinché piante e animali si sostengano a vicenda.

Una webcam selvatica

Proviamo ad affrontare la questione da un punto di vista agricolo. Da un lato, le piante infestanti – il papavero è l’esempio più noto – competono con il raccolto e possono diventare un problema. Dall’altro, sappiamo che queste specie si sono evolute insieme alle nostre coltivazioni e a premiarle è stata proprio la monocoltura, quindi sono un “effetto collaterale” dello stesso sistema agricolo. Le infestanti che ancor oggi sopravvivono sono le più resistenti agli erbicidi e non possiamo pensare di aumentare i trattamenti all’infinito (anche perché inducono mutazioni di resistenza). Quando una “malerba” ha la meglio su tutto il resto è perché abbiamo creato un disequilibrio, con una scarsa rotazione, un eccesso di fertilizzanti o di erbicidi. Al contrario, dove c’è biodiversità anche tra le infestanti, nessuna di esse compromette irrimediabilmente il raccolto.

Talvolta, poi, l’effetto estetico generare un indotto turistico che compensa le perdite. Un esempio è la fioritura dei campi di lenticchie di Castelluccio di Norcia, data proprio dalle malerbe, che ormai è un’attrazione segnalata su tutte le guide turistiche ed è persino possibile seguirla in webcam da giugno. La soluzione, dunque, è l’agroecologia che applica i principi dell’ecologia all’agricoltura, e qui entrano in gioco le nostre scelte da consumatori.

Fondamentale: accettare il cambiamento

Wilding viene dalla parola wild, selvatico, ma non ha una traduzione letterale in italiano: potremmo renderlo con naturalizzare ed è un tema di grande attualità anche fuori dai giardini, a livello di recuperi ambientali e ingegneria naturalistica. Per approfondire l’argomento esercitando l’inglese, è appena stato pubblicato un corposo manuale pieno di consigli per creare paesaggi selvatici (sembra un ossimoro) e ambienti resilienti: The Book of Wilding, di Isabella Tree e Charlie Burrel (Bloomsbury). Due i concetti di fondo da assimilare bene: mettere al centro del progetto l’accoglienza per la natura al posto della nostra fruizione e accettare il cambiamento. Quindi, non pensiamo al verde soltanto con i nostri occhi, ma in funzione di tutti gli altri ospiti selvatici che potrà sostenere. Inoltre, il dinamismo è un ingrediente naturale degli ecosistemi, di cui assecondare l’evoluzione. Con l’approccio classico impieghiamo molte energie affinché il giardino si mantenga sempre fedele a sé stesso, ma il suolo e le condizioni ambientali cambiano ogni anno e le piante crescono. Tanto vale goderci le nuove sorprese di stagione in stagione.

Le malerbe di moda, anche in vaso

Se non abbiamo un prato possiamo ospitare alcune erbacce in una fioriera. Per seguire la via più semplice, lasciamo che un vaso riempito di terra di campo sia colonizzato naturalmente e osserviamo l’evoluzione. Per risultati più immediati, raccogliamo ai margini dei campi o delle strade giovani piantine di “infestanti” quali papaveri, crisantemo giallo (Glebionis coronaria), margherite, erba viperina, scabiosa, oenothera (con la zolla di radici) e trapiantiamole in balcone.

Una terza via consiste nel seminare i grani raccolti nelle periferie. In questo momento, si trovano già quelli del cerfoglio selvatico, del guado e della centaurea. Basterà aggiungere qualche decorazione al vaso per far capire che quell’erba non è affatto una dimenticanza e che anzi, siamo alla moda. La star del paesaggismo Cleve West ha annunciato che a fine maggio ortiche, denti di leone, anchusa, robbia, geum, ranuncoli selvatici e le altre “erbacce” prelevate dal suo terreno avranno un ruolo da protagoniste nel Centrepoint Garden che ha progettato per il Chelsea Flower Show di Londra, la passerella del giardinaggio più blasonata al mondo. Più in auge di cosi?

Il trucco per mettere in cornice il disordine

Arrivati qui possiamo finalmente svelare il trucco per dare ordine al disordine. Ospitare il mondo selvatico come suggerito finora, infatti, non significa avere un giardino selvaggio. Tutt’altro! Come fare? Il disordine – se così vogliamo chiamare la vitalità di un prato non tagliato – va ben ostentato. Prendiamo esempio dal verde pubblico, dove vengono strategicamente mantenute alcune strisce di erba falciata che attirano l’attenzione sul resto. Un sentiero disegnato in mezzo all’erba alta è un invito esplicito a esplorare un mondo meraviglioso e fa capire che la prateria non è trascuratezza, ma è una scelta. Lo stesso vale per le fasce perimetrali rasate attorno ai pratoni dei parchi, dove il contrasto tra l’erba rasata e quella spontanea desta molta meraviglia. Abbiamo notato quanto sono belle le rotatorie con il bordo rasato a far da contorno e in mezzo i fiori? Lo stessa resa creativa si ottiene tagliando l’erba nella sola fascia di prato più vicina alla casa. In conclusione, per enfatizzare la vitalità del prato spontaneo, dobbiamo metterla in cornice.