Se la pesca continuerà ai ritmi attuali, entro il 2048 gli oceani saranno vuoti. Ecco perché nell’ufficio e nel laboratorio di Ittinsect, a Roma, i lavori fervono. A coordinarli c’è Alessandro Romano, 26 anni, ingegnere navale, fondatore e amministratore delegato di questa startup innovativa appena costituita. Lì è nata l’idea di sostituire il mangime tradizionalmente utilizzato per l’itticoltura, contenente farina e olio di pesce, con una formula inedita che sfrutti come ingrediente fondamentale le polveri ottenute dalla trasformazione di sottoprodotti agricoli e insetti.

Alessandro Romano ad di Ittinsect (a destra), con Andrea D’Addazio, biologo marino e direttore tecnico della startup 

L’illuminazione arriva durante l’estate del 2020: per 40 giorni, Alessandro e un suo amico solcano le acque del Mediterraneo a bordo di un piccolo catamarano. Intorno a loro, un via vai di pescherecci impegnati a gettare e ritirare grandi reti a strascico. Il giovane ingegnere resta impressionato, si chiede a chi sia destinato tutto quel pesce azzurro e quali danni possa causare uno sfruttamento così massiccio delle risorse marine.

“Quando sono rientrato dal viaggio – ricorda – ho approfondito il tema e ho scoperto che un quarto del pescato viene assorbito dall’industria mangimistica. Uno spreco. Si pensi che servono quattro chilogrammi di sardine per produrne uno di orate d’allevamento. Non solo. La pesca eccessiva mina l’ecosistema d’alto mare, alterando la catena alimentare e compromettendo l’ossigenazione. E gli effetti si ripercuotono sia sulle coste sia sulla vita umana, visto che è proprio il mare a regalarci più della metà dei nostri respiri”. Si calcola, infatti, che dal 50 all’85% dell’ossigeno presente nell’atmosfera sia generato dal fitoplancton attraverso la fotosintesi.

Alessandro si lascia guidare dal suo amore per il “polmone blu” della Terra e forma una squadra di biologi marini, biotecnologi, tecnici di produzione animale. Insieme iniziano a studiare le soluzioni per abbattere quei 179 milioni di tonnellate di pesce che, secondo le stime della Fao, la produzione ittica mondiale ha raggiunto nel 2018 (il 54% è rappresentato dalla pesca marittima). Si concentrano sulla questione dei mangimi e capiscono che il problema principale è l’assenza di valide alternative alla farina di pesce.

“Al posto suo – spiega Alessandro – abbiamo deciso di usare quella derivata da scarti agricoli e insetti, che si cibano degli scarti stessi. In tal modo si riduce la sovrappesca e si favorisce l’economia circolare, perché si dà utilità a rifiuti che andrebbero smaltiti. Come funziona il procedimento? Prendiamo una quantità di farina, la inseriamo nel bioreattore e uniamo un elemento segreto, un super-nutriente capace di arricchirla di proteine. Il risultato è un mangime che non ha nulla da invidiare al concorrente a base di pesce. Superati i limiti nutrizionali della farina d’insetti, la sua percentuale d’impiego potrà salire dal 2 al 30%”.

Ittinsect debutterà sul mercato nel settembre 2022, dopo aver terminato i test e dopo aver brevettato la sua creatura. Da gennaio, invece, partirà un progetto pilota per la sperimentazione su scala industriale: “A pieno regime – continua l’ad – puntiamo a consumare un milione di tonnellate di scarti per evitare un milione di tonnellate di pescato ogni anno. Ciò significa alleggerire l’impatto ambientale dell’intera filiera, contribuendo a tagliare le emissioni globali di gas serra di 13 milioni di tonnellate”.

Ma ci sono ulteriori vantaggi: “Il nostro mangime viene assimilato meglio dai pesci, ne basta meno; gli allevatori, quindi, risparmieranno sulle forniture. Gli ingredienti che utilizziamo, poi, non sono contaminati da microplastiche o fertilizzanti che si trovano in mare e che vengono ingeriti dai pesci da cui si ricavano le farine”.

Alessandro è orgoglioso della competenza e della dedizione dimostrate dai membri della sua squadra: “Sono qualità che hanno convinto atenei, laboratori d’analisi, itticoltori e altre realtà interessate a ospitare e a sostenere le attività di Ittinsect. Abbiamo anche partecipato a vari concorsi e vinto premi che ci hanno aiutato a finanziarci. Siamo da poco tornati dal Portogallo, dove siamo stati selezionati tra le ‘top 10 startup’ della Blue Bio Alliance. La salvaguardia degli oceani è un compito che non si può più rimandare”.