La plastica che troviamo per strada, in spiaggia, in mare, nei boschi non è frutto del caso. Quello che troviamo riflette i nostri consumi, le nostre abitudini (e cattive abitudini in fatto di smaltimento, a volte), ma indirettamente è anche una cartina tornasole del contributo delle diverse aziende al problema dell’inquinamento da plastica. Quando si studia scientificamente il fenomeno si scopre infatti che è possibile in buona parte identificare da dove arrivano le plastiche presenti nell’ambiente, risalendo alle aziende da cui sono uscite. Questo è esattamente quello che ha fatto un team di ricercatori analizzando i dati raccolti grazie a un progetto di citizen science, scoprendo che oltre la metà dei rifiuti trovati è riconducibile ad appena 56 aziende, soprattutto a quelli produttrici di cibo e bevande.
Il dato è contenuto nel lavoro appena presentato da un gruppo di esperti sulle pagine di Science Advances, reso possibile solo grazie all’attività portata avanti dal progetto #BreakFreeFromPlastic, che si occupa appunto di raccogliere rifiuti di plastica e di identificarne i produttori. Nel complesso stavolta sono stati analizzati circa 2 milioni di oggetti provenienti dalle attività di raccolta in 84 paesi, rappresentativi, spiegano gli autori, di circa l’80% della popolazione, da cui arriva gran parte della plastica globale. Per oltre la metà degli oggetti raccolti non era possibile risalire al produttore, per gli altri sì, e pur tra le migliaia totali di aziende identificate la gran parte dei rifiuti non proveniva che da una manciata di queste.
Se infatti, scrivono gli autori, in totale sono quasi 20 mila le diverse aziende identificate, oltre la metà della plastica proveniva da solo 56 di queste. Ma non solo: il 24% degli oggetti identificati arrivava da appena 5 aziende, che sono Coca-cola, PepsiCo, Nestlé, Danone, e Altria (Philip Morris). Il dato sulla Coca-cola è abbastanza impressionante: più di un rifiuto su dieci arrivava da qui. “Gli studi condotti in passato hanno bollato paesi come Filippine, Indonesia, Sri Lanka, Bangladesh, Nigeria, come le principali fonti di rifiuti di plastica nell’oceano – ha dichiarato in una nota dalla Break Free From Plastic Jorge Emmanuel della Silliman University, tra gli autori del paper – Questo ha portato a una narrazione sui social media che incolpa i paesi poveri per l’inquinamento globale da plastica, ignorando il fatto che intorno agli anni Sessanta le aziende hanno inondato i paesi in via di sviluppo con plastica monouso a basso costo, sostituendo i tradizionali materiali biodegradabili e sistemi sostenibili di riutilizzo e ricarica che, nel caso delle Filippine, risalgono al sedicesimo secolo. Lo studio attuale invece si concentra sul ruolo delle aziende e sulla produzione globale di plastica”.
Questo indica, scrivono gli esperti, che sarebbe quanto mai auspicabile un’inversione di tendenza: serve ridurre il consumo e ancor prima la produzione di plastica, soprattutto per quella usa e getta, soprattutto con iniziative che coinvolgano le grandi aziende, e puntare sul riutilizzo. L’ennesimo appello arriva anche alla luce del fatto che non ci sono solo i dati sui rifiuti a puntare il dito sulla responsabilità delle aziende, ma anche quelli della produzione, perché esiste una diretta correlazione tra produzione e inquinamento da plastica, confermano le analisi degli autori.