C’è una piccola isola, nel Parco del Delta del Po, che sta aiutando la scienza a formulare la ricetta giusta per salvare il pianeta. Si chiama Albarella ed è collegata da una strada arginale e con un ponte alla terraferma: si estende per 528 ettari coperti dalla macchia mediterranea, con alberi di 150 specie diverse, tra cui il pino marittimo e il pioppo bianco. E ci sono 270 daini: si nutrono (anche) negli orti dei residenti.
Già punto di riferimento di un turismo attento all’ambiente, oggi l’isola di Albarella diventa un laboratorio “open air” di sostenibilità. L’obiettivo? Immaginare un cambiamento di paradigma entro dieci anni che parta da un ripensamento di fonti energetiche, stoccaggio naturale del carbonio e consumi. Il progetto si chiama Alba, acronimo di Albarella Laboratorio Diversità Ambiente: avviato nel 2019 con Uni-Impresa, lo porta avanti l’Università di Padova collabora con l’Associazione Comunione dell’Isola di Albarella con l’obiettivo di creare e mantenere nel tempo un ambiente antropizzato che si discosti il meno possibile dal suo corrispondente naturale tramite una forte riduzione delle emissioni di gas serra, come previsto dalle direttive Ue.
L’isola come laboratorio ideale per il cambiamento
“Siamo partiti da un allarme e da una indispensabile presa di coscienza. – spiega Augusto Zanella, docente del Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell’Università di Padova, coordinatore del progetto – L’aumento vertiginoso, su scala globale, dell’anidride carbonica, passata da 330 ppm (parti per milione) negli anni ’70 a 420 ppm nel 2024, ha conseguenze disastrose sul clima. A cominciare dal riscaldamento della temperatura media dell’aria di 1,5-2 °C, ancora in crescita, dalla fusione delle calotte polari, e dal deregolamento del clima in generale”. Ma come e perché una piccola isola del Nord Italia può aiutare a cambiare paradigma? “Anzitutto con l’aiuto di studenti, gestori e abitanti dell’isola abbiamo raccolto i dati necessari per stilare un bilancio annuale delle emissioni di CO2 equivalente, cioè tutto ciò che serve a fare funzionare in termini di energia e risorse un’isola con più di 110 mila turisti all’anno”, spiega ancora Zanella, illustrando i risultati di una ricerca confluita nell’articolo “Tackling climate change: the Albarella island example”, pubblicato sulla rivista PLOS Climate. Le entrate e uscite di beni ed energia legati al funzionamento economico dell’isola sono state convertite in emissioni di CO2 equivalente. Si sono prese in considerazione variabili come lo stoccaggio netto di carbonio degli ecosistemi semi-naturali, la dieta degli esseri umani presenti sull’isola, l’energia fossile attualmente utilizzata, la domanda di energia elettrica, i rifiuti prodotti e i trasporti. Farlo su un territorio geograficamente isolato, e dunque circoscritto, è stato considerato un vantaggio in termini di controllo dei potenziali risultati. “Proprio così. – annuisce Zanella – Invece di tentare di risolvere il problema su scala mondiale, abbiamo deciso di provare su una superficie confinata come quella di un’isola per vedere se a piccola scala e con le tecnologie disponibili oggi il problema sia concretamente risolvibile in un tempo sufficientemente breve”.
Un cambio di paradigma necessario
I ricercatori hanno ipotizzato due scenari “estremi”: da un lato uno nel quale l’economia dell’isola rimanga quella usuale, come se i rischi del riscaldamento globale non innescassero alcun vero cambio di paradigma; dall’altro uno scenario molto più ottimistico, tradotto nel miglioramento tecnologico ai fini di ridurre drasticamente e progressivamente le emissioni. Come? Puntando per esempio sull’utilizzo esclusivo di energia prodotta da pannelli solari, impiantando alberi su metà dei prati dell’isola, proponendo una dieta vegetariana per abitanti e turisti e – naturalmente – il riciclo sull’isola di tutti i rifiuti.
Il risultato? “In dieci anni le emissioni si ridurrebbero di tre quarti, tornando ai livelli degli anni ’60”, annota Zanella. Nel dettaglio l’utilizzo di pannelli solari porterebbe all’abbandono dell’energia da sorgenti fossili con una riduzione delle emissioni del 45%, il cambio di abitudine nei consumi alimentari di abitanti e turisti ridurrebbe le emissioni del 26%, trasporti e riciclaggio del 15% e la crescita di nuovi alberi sul 5% della superficie dell’isola consentirebbe uno stoccaggio del 14,5% delle emissioni.
“La nostra ricerca – spiega ancora Zanella – è un esempio pratico diretto, una simulazione basata su dati reali e oggettivi. Siamo consapevoli che la nostra esperienza non può rappresentare la complessa realtà del nostro pianeta. Ma abbiamo dimostrato che in un’area turistica geograficamente limitata, una popolazione preparata al cambiamento che impieghi nuove tecnologie potrebbe sperare di ridurre in modo molto significativo le emissioni di CO2. Le perdite energetiche irrimediabili e la necessità che una densa popolazione umana mangi senza troppo allontanarsi dalla tua consolidata tradizione impedirebbero oggi di scendere sotto una soglia minima di 25% di emissioni inevitabili. Domani, chissà: confidiamo nella tecnologia, che consenta di ridurre ancor di più le emissioni, ma intanto cerchiamo di promuovere comportamenti responsabili e attenti. Il cambiamento si presenta molto complesso a livello globale e coinvolge aspetti economici, politici e di sviluppo culturale decisamente impegnativi.”.