Meglio prendersi cura di Yoghi, Bubu e di tutti gli altri predatori. In un contesto di difficile soluzione, quello in cui si fa fatica a sviluppare la convivenza tra orsi, lupi ed esseri umani, dal parco di Yellowstone, negli Stati Uniti nord-occidentali, – che ci riporta con la mente alle avventure del plantigrado Yoghi – arriva un’importante lezione da tenere a mente: ripristinare i predatori significa ripristinare la natura. In un recente studio sottoposto a peer-review e pubblicato sulla rivista Global Ecology and Conservation i ricercatori dell’Oregon State University e del Conservation Biology Institute di Corvallis raccontano infatti gli effetti ecologici positivi della presenza di lupi, orsi e carnivori all’interno del Parco Nazionale di Yellowstone, effetti che a cascata si riversano sulla ripresa degli ecosistemi.
Per raccontare come e perché i predatori possono aiutare la resilienza e la ripresa della natura i biologi hanno analizzato, per oltre vent’anni, i dati relativi ad alcune specie di salici. Utilizzando i dati raccolti dal 2001 al 2020 sulle condizioni della vegetazione lungo i corsi d’acqua del parco gli esperti hanno notato un aumento del 1500% del volume delle chiome dei salici: per la presenza degli alci queste piante, così come altre all’interno degli ecosistemi dello Yellowstone, in passato non riuscivano a crescere e svilupparsi, senza apportare così reali benefici alla biodiversità dell’area. Da quando però nel 1995-96 i lupi sono stati reintrodotti, così come sono stati sviluppati parallelamente progetti di conservazione degli orsi, si è creato un effetto di cascata trofica positivo per la crescita delle piante. I predatori infatti, contenendo ed operando sulla popolazione degli alci, hanno aiutato la ripresa del volume delle chiome, permettendo così a salici e altri alberi di crescere e di fungere come importante luogo di riparo e riproduzione per altre specie all’interno del parco.
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Le immagini mostrate all’interno dello studio parlano da sole: in un confronto di un tratto a valle del Blacktail Deer Creek, nell’area settentrionale del Parco Nazionale di Yellowstone, si vede per esempio chiaramente come una zona che nel 2005 era pressoché priva di vegetazione nel 2021 è diventata un polmone verde pieno di vita.
Perché è importante il collegamento tra lupi, orsi e vegetazione lungo i corsi d’acqua in ripresa? Perché come ricordano gli autori della ricerca scientifica determinate piante come i salici e altre che costeggiano i fiumi permettono “importanti risorse alimentari e habitat per più specie selvatiche rispetto a qualsiasi altro tipo di habitat. Queste aree collegano anche ecosistemi montani e acquatici e sono ampiamente note per la loro elevata diversità nella composizione delle specie, nella struttura e nella produttività”. In pratica, spiegano gli esperti, con le loro predazioni lupi e orsi, contenendo le popolazioni di erbivori, si trasformano in “architetti”.
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“Le nostre scoperte sottolineano infatti il potere dei predatori come architetti dell’ecosistema” spiega William Ripple del Conservation Biology Institute, primo autore dello studio. “Il ripristino dei lupi e di altri grandi predatori ha trasformato parti di Yellowstone, a vantaggio non solo dei salici ma anche di altre specie legnose come pioppi tremuli e arbusti che producono bacche. È un promemoria convincente di come predatori, prede e piante siano interconnessi in natura“.
Quando in passato i lupi furono cacciati e sradicati all’interno dello Yellowstone il pascolo di alci aumentò vertiginosamente portando a danneggiare gravemente la vegetazione legnosa del parco, soprattutto nella zona riparia, quella dove le comunità vegetali lungo i bordi del fiume sono caratterizzate da piante idrofile che garantiscono vita e prosperità per gli ecosistemi. Senza predatori, questo impatto si verificò per esempio anche nell’Olympic National Park a Washington o nei parchi nazionali di Banff e Jasper in Canada dopo la scomparsa dei lupi.
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Il fatto che rimuovere i predatori possa innescare effetti negativi sugli equilibri della natura era noto, ma finora è sempre stato poco chiaro l’impatto della presenza dei grandi mammiferi per esempio sulle piante legnose. Lo studio sul caso Yellowstone ci offre così l’opportunità di scoprire e quantificare quanto “la vita vegetale cresca dopo che i grandi carnivori vengono ripristinati” spiegano gli autori. Come conclude Robert Beschta, professore dell’Oregon State University “la nostra analisi di un set di dati a lungo termine ha semplicemente confermato che il recupero dell’ecosistema richiede tempo. Nei primi anni di questa cascata trofica, le piante stavano solo iniziando a crescere più alte dopo decenni di soppressione da parte degli alci. Ma la forza di questo recupero, come dimostrato dagli aumenti del volume della chioma del salice, è diventata sempre più evidente negli anni successivi” e successivamente “queste condizioni migliorative hanno creato habitat vitali per uccelli e altre specie, migliorando al contempo anche altre condizioni lungo i corsi d’acqua”.