Potrebbe essere tra le scoperte scientifiche più importanti dell’ultimo secolo, quella dell’“ossigeno buio”. In una pianura abissale del Pacifico ci sono conglomerati rocciosi della dimensione di una patata che producono ossigeno in assenza di luce, sovvertendo le leggi della natura conosciute. Ciò dimostra la capacità delle rocce di produrre energia geo-elettrica. Ad annunciarlo è uno studio appena pubblicato su Nature Geoscience, a cura del professor Andrew K. Sweetman e del suo gruppo di ricercatori che studiano l’ecologia dei fondali marini e la biogeochimica presso la Scottish Association for Marine Science (SAMS) del Regno Unito.
Dall’analisi dei dati, risulta che queste rocce hanno la capacità di generare tensione elettrica sufficiente per creare una sorta di elettrolisi che scompone l’acqua generando ossigeno molecolare. In due giorni, l’ossigeno è aumentato fino a più di tre volte la concentrazione di fondo, a 4.000 metri sotto il livello del mare, dove la luce non può arrivare. Per questo motivo, l’ossigeno è chiamato “buio”. Lo studio potrebbe trasformarsi in manna per le società minerarie in cerca di materiali per la transizione energetica verso tecnologie energetiche rinnovabili. I noduli polimetallici sono stati recuperati nella zona di Clarion-Clipperton, un’area del fondale dell’Oceano Pacifico, tra il Messico e le Hawaii, nota per la presenza di enormi giacimenti minerari. Un Eldorado che fa gola a chi vuole mettere le mani su terre rare, cobalto, nickel, litio e manganese. Ma estrarli significa interferire con un ecosistema composto da oltre 5.000 specie animali finora completamente sconosciute, come dimostra un altro studio pubblicato sulla rivista Current Biology.
L’industria mineraria in acque profonde sta sviluppando una tecnologia funzionale allo sfruttamento di questa importante risorsa in aree estese centinaia di migliaia di chilometri quadrati sul fondo dell’Oceano Pacifico. La nuova tecnologia comporterà la raccolta dei noduli con bracci metallici, sottomarini, veicoli telecomandati (ROV) e il trasporto su nave per raggiungere i siti di lavorazione. “A livello ambientale, l’estrazione di questi noduli potrebbe gradualmente comportare la distruzione della vita e dell’habitat sui fondali marini nelle aree interessate. La situazione è allarmante: attualmente i contratti per l’esplorazione nella Clarion-Clipperton Zone sono stati concessi a 16 appaltatori minerari in acque profonde, con un’area totale destinata allo sfruttamento che copre circa 1 milione di chilometri quadrati, più di tre volte la superficie dell’Italia” dichiara Federico Pasquaré Mariotto, geologo, professore ordinario dell’Università dell’Insubria di Varese.
Scongiurata questa minaccia, la ricerca potrebbe nascondere la chiave di volta per capire come la vita abbia avuto origine sulla Terra. Eravamo convinti che la fornitura di ossigeno fosse iniziata con organismi fotosintetici. Ma ora sappiamo che l’ossigeno potrebbe essere stato prodotto nell’oscurità degli abissi. Il fatto che esista una nuova fonte di ossigeno nelle profondità marine – e che non comprendiamo appieno come funzioni o quanto sia estesa – è affascinante. “Sappiamo che tutta la vita animale ha bisogno di ossigeno per sopravvivere, quindi è possibile che questa nuova fonte di ossigeno nelle profondità marine stia aiutando a sostenere la vita animale e l’ecosistema più ampio sul fondo marino” afferma il biologo Jeffrey J. Marlow dell’Università di Boston, autore dello studio. C’è ancora molto lavoro da fare per determinare se questo è vero, ma l’idea è entusiasmante.