“Occupiamo un quarto della terra che viene usata dall’agricoltura tradizionale e consumiamo appena il dieci per cento dell’acqua”. Thomas Marino, classe 1992, cresciuto a Roma e con alle spalle una laurea in scienze politiche, lo racconta mentre attraversiamo una delle cinque serre di The Circle. La prima azienda di agricoltura acquaponica in Europa sorge a venti minuti dal margine est della capitale, in una valle dove si alternano casette monofamiliari e piccoli appezzamenti. A vederla da fuori, il primato non è affatto evidente. Per accorgersene bisogna entrare nelle serre con i filari verticali fatti di tubi bianchi dove crescono a ciclo continuo rughetta, senape, santoreggia, erba cipollina, basilico rosso, timo, bietola e un’altra trentina di piante da insalata o per condimento. Ma l’elemento più singolare sono le due vasche interrate piene di pesci rossi al centro della serra.

“Usiamo l’ammoniaca e gli escrementi dei pesci da allevamento d’acqua dolce, che trasformiamo in nitriti e nitrati da impiegare nella coltivazione”, prosegue Marino. “Di fatto è l’unione dell’acquacultura, l’allevamento dei pesci, con l’idroponica, ovvero la coltivazione di ortaggi fuori dal suolo. Si possono anche impiegare pesci edibili per altro, come stiamo facendo in un progetto in Kenya, dove si aggiunge la proteina animale alla produzione”.

 

Nella sua versione contemporanea, al di là degli esempi storici in Sud America e Cina attorno al XIII secolo, l’acquaponica è un sistema che è stato messo in pratica in forma sperimentale nel 1979 negli Stati Uniti da James Rakocy alla University of the Virgin Islands. Solo recentemente però ha cominciato a diffondersi e a conquistare una nuova generazione di imprenditori come Thomas Marino e i suoi soci.

 

Gli altri tre, Valerio Ciotola, Simone Cofini e Lorenzo Garreffa, sono anche loro del 1992 ma laureati in biotecnologia industriale con specializzazioni in microalghe e nuove fonti di approvvigionamento energetico. La scoperta dell’acquaponica, l’idea che in natura non esiste scarto e si può produrre con un impiego minimo di risorse riciclando tutto o quasi, risale agli anni della specializzazione. Poi la decisione di lanciarsi nell’impresa nel 2017 scegliendo questa proprietà, dove le serre hanno una superficie complessiva di cinquemila metri quadrati, e seducendo diversi investitori, fra i quali il cantante Achille Lauro.

Come funziona

Dai due laghetti delle pompe a bassa intensità raccolgono l’acqua che viene trasportata in dei grandi vasconi di legno riempiti da argilla espansa dove vivono i batteri che svolgano la funzione di filtro. A quel punto l’acqua depurata dall’ammoniaca ma con i nutrienti viene raccolta in delle botti interrate dove si aggiungono altri elementi a base di microalghe per rendere l’acqua adatta alla crescita e al sostentamento delle piante nei filari verticali. Viene distribuita grazie a dei sensori ad intervalli regolari e il liquido in eccesso è raccolto e rimesso in circolo. Di qui il nome stesso dell’azienda: The Circle.

 

“Per quanto riguarda l’insalata, ad esempio, a parità di terreno occupato la produzione è dieci volte maggiore”, prosegue Marino. “Il limite è l’altezza dei filari e il sistema di raccolta delle piante mature. Ma già ora questa impresa ha dimostrato non solo di poter produrre a costi competitivi ma anche di essere molto più sostenibile rispetto all’agricoltura tradizionale dove il 90% dell’acqua va sprecata perché non viene affatto assorbita dalle piante. Finisce nel terreno e con lei anche tutti i prodotti chimici che in acquaponica non è più necessario usare”.  

Un’agricoltura diversa, anche per chi ci lavora

Guardando un dipendente che taglia il raccolto in una delle serre, in piedi e senza doversi chiare in terra, mentre mette nei cesti vegetali cresciuti con un uso minimo di concimi e senza dover occupare molto terreno, viene da chiedersi come mai l’acquaponica non sia già il principale sistema impiegato in agricoltura.

In realtà è ancora una zona di frontiera e anche se si sta diffondendo rapidamente ha dei limiti, soprattutto nelle varietà coltivabili. Quelle a foglia sono ormai una realtà, ma si riesce a far crescere anche fragole, lamponi, frutta di piccolo formato. In idroponica si producono invece i pomodori, occupano però molto più spazio non potendo usare i filari verticali. Si sta facendo ricerca per allargare anche ad altri tipi di piante, si pensa ovviamente al grano, ma siamo alle sperimentazioni. Nel frattempo si punta al mercato dell’insalata, che da solo in Italia vale oltre un miliardo di euro, già afflitto dall’aumento delle temperature e dalla conseguente scarsità di acqua.

Il giro d’affari

Già che siamo in argomento: l’agricoltura acquaponica è un settore valutato nel 2020 attorno ai 9.5 miliardi di dollari nel mondo, con previsioni di crescita che dovrebbero portarlo a circa 18 miliardi nel 2026. Numeri piccoli, dietro i quali si nasconde una delle difficoltà maggiori: la barriera d’ingresso. Avviare un’azienda come The Circle richiede investimenti, tecnologie e saperi, che non sono alla portata di tutti a differenza di un orto vecchia maniera.

In media, stando ad un calcolo fatto dalla società di analisi di mercato Markets and Markets, una produzione acquaponica può arrivare a costare fino a 110mila dollari per un sistema completamente automatizzato. “Una cifra enorme che impedisce a molti agricoltori di investire in questi sistemi“, si legge nel rapporto. “Tuttavia, la resa ottenuta è più elevata e i prodotti possono anche essere commercializzati come prodotti premium”.

Piccoli miracoli

Esattamente quel che sta facendo The Circle. “Vendiamo soprattutto alla ristorazione, che ci tiene a sottolineare nei menu l’origine delle erbe e dell’insalata perché vengono prodotte in maniera differente rispettando l’ambiente”, conclude Marino. Ma certo, il salto vero ci sarà solo quando da eccezione idroponica e acquaponica diverranno la norma. I vantaggi sono così evidenti che in un mondo strozzato dalla crisi climatica ignorarli sarebbe un errore. Si tratta di abbattere i costi di avvio, ma su questo fronte il mondo della tecnologia ha spesso dimostrato di saper compiere dei miracoli.

Nel frattempo The Circle, che oggi ha un giro d’affari di 300mila euro all’anno e quindici dipendenti, sta già pensando di espandersi sia a Roma con un secondo sito, sia a Milano. Anche perché, come spiegano gli stessi fondatori, da quest’anno hanno iniziato anche loro a guadagnare uno stipendio e non sono più costretti a reinvestire tutto. Segno che le cose cominciano ad andare per il verso giusto.