Esbjerg, Danimarca. Per pulire il pianeta e anche le coscienze. Soprattutto, per avviare un business che promette di essere molto ricco. All’erede al trono della corona danese, il principe Frederik, è bastato chiamare via radio la piattaforma petrolifera per avviare l’operazione: al suo ordine, a duecentocinquanta chilometri a nord delle coste dello Jutland, la CO2 ha cominciato ad essere immessa nel giacimento ormai esaurito. Ne potrà contenere fino a otto milioni di tonnellate l’anno, grosso modo il 10% dei gas serra prodotti da un Paese come la Danimarca. O almeno questo è l’obiettivo a partire dal 2030. “A cinquanta anni dall’inizio dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi del mare del Nord, inaugurato da mio padre, ora invertiamo il processo rimandando la CO2 dove è stata estratta“, spiega il principe. Nella solennità del momento ammette che avrebbe preferito di gran lunga poter spingere un pulsante. Di buon grado si accontenta della videochiamata con la piattaforma petrolifera.
Dunque, si toglie anidride carbonica dall’atmosfera, la si trasforma in gas liquido, poi si solidifica, infine viene immagazzinata sotto terra, lì dove un tempo c’era il petrolio. Il progetto Greensand, appena presentato nel porto di Esbjerg, ha anche un’altra particolarità: la CO2 viene dal Belgio ed è stata trasportata qui via terra. Il sistema è da affinare, si progetta di usare le navi la prossima volta, ma già ora si punta a creare un’alternativa al mercato dei crediti di carbonio.
“Questo è un grande momento per la transizione verde dell’Europa e per la nostra industria della tecnologia pulita”, commenta Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, attraverso un messaggio video. “State dimostrando che si può fare, che possiamo far crescere il nostro settore attraverso l’innovazione e, allo stesso tempo, rimuovere le emissioni di carbonio dall’atmosfera grazie all’ingegno e la cooperazione”.
Siamo però in un terreno scivoloso, il catturare la CO2 potrebbe prestare il fianco all’ambientalismo di facciata, fornendo la scusa per continuare a inquinare come si è fatto fino ad oggi. Ma qui in Danimarca credono che non ci siano molte alternative alla rimozione dei gas serra perché, sostengono, non c’è alternativa all’attuale modus operandi di molti dei settori produttivi, iniziando dalla chimica, che non potranno mai essere a zero emissioni.
“Metà della CO2 dovrà essere tolta dall’atmosfera se vogliamo raggiungere gli obbiettivi di neutralità carbonica del 2050, non basta ridurre le emissioni”, spiega Brian Gilvary, a capo della Ineos Energy, divisione del colosso britannico della chimica, secondo solo a Basf e Dow Chemical. C’è lui dietro il progetto Greensand, assieme ad altre ventitré organizzazioni non tutte con l’anima candida dal punto di vista ambientale, e che includono i governi di Belgio e Danimarca. “Io non credo che potremo fare a meno dei combustibili fossili, non nei prossimi decenni”, prosegue Gilvary. “Il progetto Greensand è la dimostrazione che c’è un’alternativa ai crediti di carbonio“.
Il sistema dei crediti di carbonio, un affare valutato oltre 700 miliardi di dollari l’anno, permette di continuare ad emettere gas serra in cambio dell’acquisto di un titolo che testimonia una compensazione con progetti legati ad esempio al piantare alberi. Attualmente, un credito di carbonio in Europa, che equivale alla possibilità di produrre una tonnellata di anidrite carbonica o altri gas serra, costa circa 92 euro. Alla Ineos sono convinti che il progetto Greensand possa quindi trasformarsi in un mercato prospero con il progressivo abbattimento dei costi dell’immagazzinamento della CO2 e l’ottimizzazione dei processi. Insomma, si punta ad arrivare ad un prezzo per ogni tonnellata competitivo rispetto ai crediti di carbonio. La strada però è lunga. Stando alla canadese Carbon Engineering, finanziata fra gli altri da Bill Gates, la cattura di CO2 è attorno ai 150 dollari a tonnellata.
Non a caso si insiste sulla necessità di sovvenzioni statali. “All’inizio gli impianti eolici non erano convenienti e non avrebbero potuto evolversi se non fossero stati sostenuti economicamente” insiste Gilvary. “Questo vale anche per l’uso dei pannelli solari, quindi perché la raccolta e lo stoccaggio della CO2 non dovrebbero essere sostenuti?”.
Sonia Isabelle Seneviratne, climatologa dell’Eth di Zurigo, che ha cofirmato tre diversi rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), ha sostenuto che la cattura di CO2 non è infatti una misura efficace. Troppo costosa, non può essere d’aiuto visto che dobbiamo invertire la tendenza in fatto di emissioni da qui al 2030 e non a partire da quella data. Secondo lei, l’unica strada è tagliare le emissioni della metà se vogliamo sperare che le temperature non superino un aumento di un grado e mezzo, e abbiamo appena sette anni.
Secondo il Global Ccs Institute ci sono 197 progetti di stoccaggio della CO2 a livello globale. La stragrande maggioranza la inietta nel sottosuolo per aumentare l’efficienza nell’estrazione del petrolio, attraverso la tecnica chiamata Enhanced Oil Recovery (Eor). Si immette nel giacimento anidride carbonica e acqua per spingere in alto il petrolio. Sono solo nove i progetti nati per lo stoccaggio geologico e solo uno prevede il trasporto del gas serra oltre i confini nazionali. Si tratta del Weyburn-Midale che usa un gasdotto fra Stati Uniti e Canada.
Per quanto riguarda Greensand, l’anidride carbonica del Belgio viene dagli impianti chimici della stessa Ineos. L’azienda spiega che la scelta di quella fabbrica è legata al primo test, per dimostrare che è un sistema che funziona. A fine del 2023 si aprirà a clienti danesi e belgi, in attesa che anche in altri Paesi vengano approvate leggi che consentano il trasporto e lo stoccaggio della CO2. Bisogna però vedere come e chi potrà raccogliere l’anidride carbonica. In Belgio è stata presa direttamente dalle ciminiere, gli scarichi del processo di produzione, ma non è detto che in altri casi sia così facile.
In ogni caso il sottosuolo danese, secondo il Geological Survey of Denmark and Greenland (Geus), potrebbe ospitare ben 22 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, che corrispondono a circa 700 anni di emissioni di una nazione come la stessa Danimarca ai livelli attuali. Il ministro dell’energia di Copenaghen, Lars Aaagaard, è convinto che questo sia un campo nel quale il suo Paese può quindi costruire un settore da migliaia di posti di lavoro, sempre ammesso che si riesca a ridurre i costi per tonnellata raccolta e immagazzinata.
“È una storia europea di successo e di cooperazione”, ha sottolineato Ursula von der Leyen. “La CO2 che catturata in Belgio, e presto anche in Germania, verrà trasportata sulle navi nel porto di Anversa-Bruges e conservata sotto terra grazie allo spirito pionieristico danese. È una storia che coinvolge decine di piccole imprese europee, istituti di ricerca e giganti industriali“.
Insomma, un’opportunità e non solo per i danesi. Vedremo cosa succederà a fine 2023, quando Greensand diverrà ufficialmente un’impresa commerciale. Qui a Esbjerg credono rappresenti già ora una svolta, specie per quei Paesi che affacciano sul Mare del Nord con tutti quei giacimenti vuoti a disposizione. Era la terra promessa del petrolio mezzo secolo fa, oggi viene promossa come la nuova frontiera per ripulire l’ambiente e il marcio prodotto altrove.