Forse abbiamo chiuso gli occhi un po’ troppo e non ci siamo accorti che, nel Belpaese, le foreste negli ultimi cinquant’anni hanno raddoppiato la loro estensione. Ancora: negli ultimi dieci anni l’aumento è stato di oltre il 5%.

Andiamo avanti con i numeri: i boschi italiani coprono un’area di 11 milioni di ettari (110 mila kmq), il doppio di mezzo secolo fa. Avete letto bene: l’Italia del “cemento selvaggio”, quella che dipingiamo (da soli o affidandoci ai “pennelli” altrui) come la terra degli speculatori senza scrupoli, dei distruttori dell’ambiente e via insultando, ha più alberi di prima (il 100% in più) e, con le sue foreste, occupa il 36% del territorio.

 Bosco in Italia, dati alla mano
 Bosco in Italia, dati alla mano 

Insulti a parte (non curiamocene, spesso e volentieri sono gratuiti) questi numeri sono un’ottima notizia ma… Come mai i boschi sono cresciuti nonostante l’aumento della popolazione e l’incremento dell’urbanizzazione? Presto detto: in mezzo secolo gli addetti all’agricoltura si sono paurosamente assottigliati; questo ha comportato un massiccio spopolamento delle aree montane e collinari. Insomma i boschi ci sono, sì, ma crescono alla rinfusa, senza cure, senza interagire con il contesto e con l’uomo. Paradossalmente un bosco abbandonato, “anarchico”, può far male all’ambiente, causando fenomeni di instabilità idrogeologica, degrado ambientale e povertà economica.

Pensavamo di essere degli “sfruttatori” impenitenti di alberi, invece solo il 18% della nostra superficie boschiva è soggetta a piani di gestione forestale. Insomma, i nostri boschi sono spesso trascurati e poco sfruttati ma, allo stesso tempo, importiamo milioni di metri cubi di legno dall’Austria, dalla Romania e da altri Paesi europei e non solo europei. Legno da opera ma anche legna da ardere, “cippato” e pellet.

Siamo arrivati al punto: l’energia. I nostri boschi e le nostre foreste sono un serbatoio energetico importante e dall’energia del legno può arrivare un contributo fondamentale per il sistema energetico nazionale. Oggi, a dispetto dei luoghi comuni, le emissioni di CO2 di un sistema di riscaldamento a pellet o legna sono pari a meno di un decimo di quelle prodotte dal gasolio; tanto per dire: il gasolio, per un Megawattora di energia emette 326 kg di CO2 in atmosfera. Il pellet, 29 kg. Perché il legno è una fonte di energia rinnovabile e carbon neutral.

 Emissioni di gas serra per diversi combustibili
 Emissioni di gas serra per diversi combustibili 

Tutto questo ce lo rivela AIEL, Associazione Italiana Energie Agroforestali. AIEL associa le imprese della filiera legno-energia occupandosi, da anni, di promuovere la corretta e sostenibile valorizzazione energetica delle biomasse agroforestali, con un occhio particolare ai biocombustibili legnosi. L’Associazione rappresenta 500 imprese della filiera tra produttori di apparecchi domestici e caldaie, produttori e distributori di pellet, legna da ardere e cippato.

Le foreste, insomma, vanno curate; curate e sfruttate. E il verbo “sfruttare” non fa rima con maltrattare: come abbiamo già detto un bosco ha bisogno di manutenzione, di “pulizia”, in altre parole di essere valorizzato. Altrimenti diventa esso stesso nemico dell’ambiente. Un esempio su tutti: gli incendi. Tutto questo AIEL lo ha scritto nel Libro Verde dell’Energia dal Legno pubblicato in collaborazione con Progetto Fuoco, la prima fiera al mondo dedicata al riscaldamento a legna e pellet.

AIEL chiede di guardare con maggiore attenzione al contributo che la produzione di biomasse legnose può fornire alla diversificazione degli approvvigionamenti energetici riducendo, tra l’altro, la nostra dipendenza dagli altri Paesi in tal senso (in questo momento, più che mai, non sarebbe male) e promuovendo lo sviluppo locale.

La transizione energetica passa anche da qui: passa dai nostri boschi; che non vanno rasi al suolo, si badi bene: vanno semplicemente utilizzati con razionalità e rispetto, secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e del principio di uso a cascata, per creare opportunità occupazionali ed economiche, per ridurre la dipendenza energetica dall’estero, per supportare l’industria di prima lavorazione del legno dai cui scarti si producono biocombustibili legnosi rinnovabili e per governare il territorio in maniera più efficiente e sostenibile.