“La dipendenza dai combustibili russi sarà utilizzata da Putin per dividere i Paesi europei e farli combattere tra loro. Raggiungere l’indipendenza il più rapidamente possibile è una questione di sicurezza per l’intera Unione europea”. L’ambientalista russo Vladimir Slivyak non si stanca di ripetere la necessità di dire addio ai fossili di Mosca per raggiungere finalmente la pace, come ha ricordato anche nel suo discorso agli studenti del nuovo anno accademico di studi internazionali dedicati ai diritti umani e alla democrazia del Global Campus of Human Rights di Venezia, lo scorso 25 settembre.
Nato a Kaliningrad nel 1973, Slivyak è co-presidente del gruppo ambientalista russo Ecodefense, che ha fondato a soli 16 anni insieme a un gruppo di studenti preoccupati per la salute del Pianeta e delle persone, e nel 2021 è stato insignito del Premio Right Livelihood, un Nobel alternativo assegnato a chi si distingue in campi come la protezione ambientale, la pace, i diritti umani, lo sviluppo sostenibile, la salute, l’educazione. Oggi, dalla Germania dove è emigrato, continua a battersi contro la guerra e per l’embargo europeo sui combustibili russi.
La guerra in Ucraina viene spesso definita la guerra dei combustibili fossili. Basteranno le sanzioni sul gas russo per porre fine al conflitto?
“L’esportazione dei combustibili costituisce più della metà del bilancio russo. Senza, Vladimir Putin non avrà più soldi per la guerra e non potrà continuare a uccidere ucraini innocenti. Solo lo scorso anno dall’Unione europea Mosca ha avuto oltre 100 miliardi di euro e quest’anno la cifra sarà anche più alta. Ma fermare solo il gas non basta. È necessario un embargo su tutti i tipi di combustibili provenienti dalla Russia: gas, petrolio, carbone e combustibile nucleare”.
In che senso l’Europa dipende dalla Russia per il nucleare?
“I reattori nucleari di Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Finlandia – cinque Stati membri dell’Unione europea – possono ottenere il combustibile nucleare (il materiale capace di scatenare la reazione nucleare che viene posto nel nocciolo di un reattore, ndr) solo dalla Russia. Non ci sono fornitori alternativi. Inoltre, Mosca fornisce uranio anche ad altri produttori europei di combustibile nucleare, come per esempio la francese Framatome, che a sua volta rifornisce diversi Paesi dell’Europa occidentale. Attualmente la Russia copre circa il 26% della domanda di uranio nell’Ue, guadagnando 1 miliardo di euro all’anno. E il Kazakistan, Paese con una forte influenza politica russa, pensa a un altro 20%. Questa è una delle dipendenze più pericolose: significa che Putin potrebbe un giorno decidere di interrompere le forniture, proprio come ha fatto con il gas naturale. E non credo che i politici abbiano un piano realistico sul da farsi se ciò dovesse accadere”.
Cosa bisognerebbe fare?
“Dobbiamo fare pressione oggi: i leader devono agire e presentare un piano chiaro per ridurre la dipendenza dalla Russia. Altrimenti l’azione arriverà dalla parte opposta. E potrebbe essere davvero spaventosa”.
Nel giugno 2021 il governo russo ha annunciato piani per la sua transizione energetica. Anche se insufficienti, dimostrano un primo interesse del Paese alla tutela dell’ambiente?
“La Russia non ha mai avuto e non ha un vero piano per la transizione energetica. Il regime di Putin si considera una delle principali potenze del mondo proprio grazie alla dipendenza degli altri Paesi dai suoi combustibili fossili e grazie ai soldi che ricava dalle esportazioni, non potrebbe mai rinunciarvi. Anzi, la strategia energetica fino al 2035 prevede maggiori estrazioni. Inoltre le élite russe non hanno alcuna consapevolezza dei problemi climatici e il decreto presidenziale numero 666 permette alle emissioni di gas serra di crescere ancora in futuro”.
Lei è emigrato in Germania. Com’è la vita di un ambientalista in Russia?
“I rischi sono molto alti: il regime di Putin non tollera la libertà e l’attivismo, è impossibile lavorare sulla giustizia ambientale e soprattutto sulle questioni antinucleari, per cui mi batto da oltre 30 anni. Per un attivismo di successo servono strumenti democratici che oggi in Russia non esistono. Certo, ci sono alcuni gruppi ambientalisti ma sono vicini al governo e accettano la guerra e il fascismo. Io spero di tornare a casa, ma questo non accadrà finché ci sarà il regime di Putin”.
Da dove arriverà il cambiamento necessario?
“I cambiamenti più importanti arrivano sempre dalla gente. Non dai politici, dai media o da chiunque altro. Se le persone sono unite e chiedono un cambiamento, sono inarrestabili. Almeno, in una democrazia”.