Un armadio plastic free è possibile. Basta scegliere il tessuto giusto. Dai più scontati e comuni cotone, lino e lana, passando per juta, pelle e Lyocell, fino a canapa, ginestra, cupro e foglie di loto. Senza tralasciare le bioplastiche derivate da buccia d’arancia, alghe o denti di seppia.
di Mariella Bussolati
La juta è una fibra tessile naturale di origine vegetale, tra le più economiche in commercio, proveniente da un erba della famiglia delle malvacee. Per crescere non ha bisogno di fertilizzanti, erbicidi e pesticidi. E lo fa rapidamente: matura in 100 giorni. Migliora anche la qualità del suolo perché reintegra i nutrienti del terreno, tanto che viene usata in rotazione per migliorare le altre colture. Non solo: un ettaro di piante può assorbire fino a 15 tonnellate di anidride carbonica e rilasciare fino a 11 tonnellate di ossigeno durante la stagione di crescita, aiutando a pulire l’aria. Le fibre sono composte da materiali vegetali derivati da cellulosa e lignina, variano nel colore da bianco sporco al marrone, e sono lunghe da 1 a 4 metri. Sono biodegradabili e riciclabili al 100% e bruciate o lasciate nelle discariche non generano gas tossici. Hanno una elevata resistenza alla trazione e garantiscono una buona traspirabilità del tessuto. Sono spesso miscelate con altre fibre tessili, sia sintetiche che naturali. I vantaggi del tessuto in juta includono buone proprietà isolanti e antistatiche, oltre a una bassa conduttività termica e una ritenzione moderata dell’umidità. Caratterizzata da riflessi lucenti e dorati, per questo viene chiamata anche “la fibra d’oro”. Può essere usata più e più volte, ci vogliono anni prima che si rompa.
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La pelle realizzata da prodotti di scarto fa parte dell’economia del riciclo ed è molto più ecologica delle pelli vegan, fatte di plastica. È importante però assicurarsi che non contenga metalli pesanti. Secondo Annalisa De Piano, co-fondatrice di Be Green Tannery, conceria campana fortemente orientata alla sostenibilità, una possibile via è scegliere materiali in grado di durare nel tempo e che, una volta giunti al loro fine vita, abbiano il minor impatto possibile sull’ambiente. Per De Piano il settore conciario è il primo anello di un’economia circolare: che nobilita un prodotto di scarto dell’industria alimentare. Recuperando e lavorando la pelle di scarto, si evita che si trasformi in un rifiuto inquinante, pericoloso per l’ambiente e per la nostra salute, donandogli una seconda vita, o una terza: quella del compost organico generabile dal rifiuto.
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Le bioplastiche. Sono ormai molto numerosi i materiali organici dai quali si possono ricavare tessuti che hanno proprietà identiche a quelli sintetici. Uno dei più interessanti sono le bucce di arancia. I ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università di Palermo hanno scoperto che dall’ossido di limonene si può ricavare un polimero biologico non inquinante che può essere utilizzato per tazze e posate, ma anche per capi d’abbigliamento, come fanno le fondatrici siciliane di Orange fiber che producono anche per H&M e Ferragamo. Anche la biomassa delle alghe consta di polimeri che si prestano a essere utilizzati per produrre bioplastiche. Tra i progetti attualmente condotti a tal scopo c’è SEABIOPLAS (Seaweeds from sustainable aquaculture as feedstock for biodegradable bioplastics), finanziato dall’UE. Aziende di abbigliamento sportivo hanno lanciato pantaloni da trekking e piumini realizzati in poliammide a base biologica proveniente da olio e semi di ricino. Altri stanno studiando la possibilità di sfruttare il micelio dei funghi per creare abiti personalizzati senza cuciture come Muskin e MicoTex.
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Anche i denti di seppia possono promettere un futuro diverso. Ricercatori della Penn State University sono riusciti a utilizzare un bio polimero a partire dalle proteine che li compongono. Il risultato è molto simile alla seta ma ha anche una qualità in più: è in grado infatti anche di autoripararsi. Il rivestimento polielettrolitico ottenuto dalla Penn infatti permette a piccoli strappi o ai buchi di essere cancellati solo immergendo il capo nell’acqua. In questo modo viene ridotta l’usura e la frequenza con cui si produce un rifiuto.
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Il Tencell/Lyocell è una fibra tessile estratta dalla cellulosa della pianta di eucalipto lavorata con sostanze chimiche. È dunque a tutti gli effetti sintetica, ma di origine naturale. I solventi chimici impiegati nella fabbricazione non sono tossici e vengono reimpiegati più volte. Non è recente: ha fatto la sua prima apparizione nello stabilimento americano Enka, nel 1972. E infatti è molto diffusa anche presso le più grandi marche. La polpa di cellulosa viene passa attraverso un processo di filatura che la trasforma in lunghi e sottili fili brillanti. Le caratteristiche principali sono l’ottima resistenza, la buona traspirabilità e l’assorbimento dell’umidità. È molto morbida, liscia e lucida, con panneggio fluido. È stata spesso paragonata alla seta.Viene usata per lenzuola, asciugamani, denim, biancheria intima. Nonostante la sua leggerezza non si rovina facilmente.100% biodegradabile e compostabile, impiega il 20% di acqua in meno, rispetto alla produzione del cotone, così come meno energia.
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La canapa è la regina dei tessuti, estratta dalla pianta della cannabis sativa, la stessa che produce il Thc. A parità di altre fibre naturali ha una resa di raccolto molto più alta. Produce il 250% in più di fibra tessile rispetto al cotone e il 600 in più del lino. Cresce rapidamente raggiungendo un’altezza di 2-5 metri in soli tre mesi e non attira parassiti. Utilizzata da migliaia di anni, soprattutto in Asia, Medio oriente e Cina, grazie a nuove tecnologie ora è diventata più morbida e brillante. I tessuti di canapa sono più resistenti, assorbenti e duraturi rispetto gli altri. Sono resistenti agli acari, allo sviluppo dei batteri, alla muffa, alle termiti, e addirittura al fuoco. Danno una sensazione di freschezza. Le tarme non riescono ad attaccarli. Sono traspiranti, termoregolatori, anti-microbici, igroscopici. Non si restringono o scolorano e possono essere miscelati con altre fibre.
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Il caffè o meglio ancora i fondi del caffè già utilizzati sono una materia prima promettente. La International Coffee Organization stima che circa 6 milioni di tonnellate vengano prodotte ogni anno globalmente. Non è quindi in esaurimento. La Yokohama National University giapponese lo ha utilizzato come fonte di nanofibre di cellulosa e anche l’Istituto Italiano di tecnologia di Genova lo sta sperimentando. Molto usato per tazze e posate, inizia a essere usato anche nel settore dell’abbigliamento. Fab textiles è riuscita a realizzare un cuoio vegano per borsette, di cui condivide anche la ricetta. Vaude, produttrice di abbigliamento tecnico per la montagna, lo usa nelle giacche da ciclismo perché si asciuga facilmente, ha una buona protezione ai raggi Uv ed è antibatterico.
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Il cupro è un altro tessuto antico, che risale al 1911. Viene realizzato a partire dai linter di cotone, i corti filamenti vicino al seme che sono il sottoprodotto dell’industria cotoniera e che presenta una composizione chimica simile a quella delle fibre di cotone. La cellulosa viene recuperata con una soluzione cuproammoniacale e poi filata. La produzione era un tempo molto inquinante, ma oggi è a emissioni zero e c’è un riciclo completo di scarti e rifiuti. Assomiglia molto alla seta, è antistatico e traspirante, fresco, leggero e lucente. La fibra ha una sezione circolare la sua superficie liscia, senza dislivelli, assicura un indice di abrasione e frizione a contatto con la pelle molto basso evitando così irritazioni o allergie.
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Il lino è già molto noto per la sua preziosità e la sua bellezza ed è già molto utilizzato. Va recuperato perché è molto ecologico. Le fibre sono molto più forti e lucenti rispetto ad altre e producono vestiti freschi e assorbenti, ideali per le temperature calde. Essendo vuote, trasportano aria e umidità in modo del tutto naturale. Hanno un’alta resistenza alla trazione e all’allungamento, sono resistenti e longeve e sono igroscopiche, cioè tendono ad assorbire e rilasciare molto bene l’umidità. Il tessuto di lino protegge dai raggi del sole, ed ha un’eccellente resistenza alla degradazione dovuta al calore. Quello di qualità superiore viene macerato in fonti d’acqua naturali a lento movimento come torrenti e fiumi. Il più pregiato del mondo viene macerato in Belgio nel fiume Lys.
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Le foglie di loto forniscono materiale per abbigliamento da migliaia di anni. In Birmania da secoli le fibre ricavate dal loto sono utilizzate per la tessitura di stoffe con cui vengono realizzati gli abiti dei monaci buddisti di alto rango. I fiori vengono raccolti tra maggio e dicembre ed è dai loro steli che viene estratta manualmente la fibra che deve essere filata entro 24 ore dal raccolto, pena il deterioramento del materiale. Loro Piana ha recentemente lanciato una linea di capi che regolano lo scambio di umidità con l’esterno, sono traspiranti, morbidi e lisci, e adatti alla realizzazione di capi di intimo e sportswear.
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