Quella di Juan Carrito è stata una morte annunciata? E quanto si può ancora fare per proteggere gli animali selvatici, in Italia, dal rischio concreto di incidenti stradali? Dopo l’episodio di lunedì scorso, con l’orso simbolo del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise investito da un’auto sulla statale 17, nei pressi di Castel di Sangro, il dibattito è aperto. I numeri sono in effetti importanti: secondo una stima indicativa, ogni anno circa un milione e mezzo di animali selvatici  viene ucciso sulle nostre strade. Una strage silenziosa. E i sinistri possono avere conseguenze anche per l’uomo, naturalmente.

L’Abruzzo, dove l’habitat di frequentazione dell’orso bruno marsicano è molto frammentato, è senz’altro un caso emblematico: qui la presenza di strade e infrastrutture che attraversano potenziali corridoi di colonizzazione della specie è rilevante.

Tra questi, la statale 17, la Sulmona-Roccaraso, è considerata nevralgica. “Qui, prima di Carrito, negli ultimi dieci anni erano già stati investiti cinque orsi. Tre erano morti. Raggelante, se si considera che la sottospecie è formata da appena sessanta individui”, denuncia Marco Antonelli, naturalista ed esperto di grandi carnivori del WWF. “Nessuno di questi animali – annota il direttore del Parco, Luciano Sammarone – aveva il comportamento confidente di Carrito a dimostrazione che l’orso non è morto perché era Carrito, ma perché, come – tutti gli altri orsi  – era libero di muoversi sul territorio”. E dunque, come lo stesso Parco ha denunciato in un post sui social, quella strada “oltre ad essere una barriera fisica per la fauna selvatica è diventata, negli anni, una specie di strada della morte per gli orsi”.

Ma l’ultima tragedia non fa che amplificare la percezione di un rischio elevato che gli addetti ai lavori hanno ampiamente diagnosticato negli anni scorsi, al punto che nell’ambito del progetto LIFE Safe-Crossing e in collaborazione con “Salviamo l’Orso” e lo stesso Wwf si erano moltiplicate negli ultimi anni le iniziative volte a migliorare le condizioni di sicurezza e educare i guidatori a moderare la velocità, nonostante la statale sia formalmente fuori dai confini del Parco.  Era per esempio già stata installata una recinzione metallica di 1100 metri per invitare la fauna ad utilizzare i sovrappassi e i sottopassi esistenti. Ma Carrito, secondo le ricostruzioni, sarebbe saltato sulla carreggiata ad appena dieci metri dal sottopasso, ripetendo un’azione già fatta decine di volte. Perché il comportamento degli animali selvatici non è, per definizione, prevedibile.

“Più investimenti per fermare la strage silenziosa”

“Benché stia crescendo la consapevolezza che la cosiddetta connettività ecologica sia un tema importante, l’Italia resta molto indietro rispetto ai Paesi del Nord Europa e al Canada. – dice ancora Antonelli – Il perché è presto detto? Molte delle infrastrutture viarie e ferroviarie sono vecchie e in fase di progettazione non si sono contemplati i rischi legati all’interruzione dell’habitat naturale degli animali”. Lo scorso settembre, in Liguria, cinque lupi sono morti investiti da un treno in transito. “Rimediare, mitigando il rischio, è possibile – continua il responsabile del Wwf – ma richiede investimenti importanti che le associazioni e i Parchi, da soli, non riescono ad affrontare. Occorre dunque che Regioni, Città Metropolitane e Ministero dell’Ambiente comprendano l’importanza di interventi strutturati, anche se sembra che l’occasione del Pnrr non sia stata colta per nulla”.

Il progetto Safe-Crossing e l’aiuto della tecnologia

Eppure qualcosa si muove. La stessa Anas, la società del Gruppo FS Italiane che si occupa di infrastrutture stradali, spiega, in una nota, come “nella progettazione e realizzazione di nuove opere consideri elementi per la tutela della fauna selvatica, quali sottopassi o ecodotti, come quello già realizzato sulla Sassari-Olbia per il passaggio delle specie protette presenti, con particolare riferimento alla gallina prataiola”. E Anas collabora, con il Parco Nazionale della Maiella e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, al progetto internazionale LIFE Safe-Crossing, una delle risposte più strutturate che l’uomo sta proponendo proprio per arginare il problema del cosiddetto “roadkill”, il rischio di collisioni tra animali selvatici e veicoli.

Lo studio dell'associazione Ardea in Campania
Lo studio dell’associazione Ardea in Campania 

Un progetto che fa seguito a un percorso analogo, il progetto Life Strade (che ha previsto l’installazione di un sistema innovativo per la prevenzione degli incidenti stradali con la fauna in 17 siti dell’Italia centrale)  e che si propone di ridurre l’impatto delle strade su alcune specie prioritarie dal punto di vista conservazionistico in quattro paesi europei: l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) e il lupo (Canis lupus) in Italia, la lince iberica (Lynx pardinus) in Spagna, e l’orso bruno (Ursus arctos) in Grecia e Romania.

Tra le idee più innovative, l’installazione di un innovativo sistema di prevenzione degli incidenti stradali con la fauna selvatica (AVC PS) nelle nuove aree di progetto. Funziona così: una serie di sensori a infrarossi e una telecamera termica registrano la presenza di un animale che si avvicina alla strada e inviano l’informazione a una centralina elettronica di controllo, che fa azionare un segnale per allertare gli automobilisti, invitandoli a ridurre la velocità. Un sensore radar doppler,  posto sul palo del cartello stradale, misura se il veicolo rallenta. Se ciò avviene, il sistema si ferma a questo punto. In caso contrario il radar invia un segnale alla centralina di controllo, che attiva il sistema di dissuasione acustica, con la funzione di allontanare l’animale per prevenire un suo eventuale attraversamento. Il progetto Life Safe-Crossing mira anche ad aumentare l’attenzione dei guidatori nelle aree di progetto sul rischio di incidenti stradali con le specie target. Ma la segnaletica stradale proposta in Abruzzo non sembra aver sortito l’effetto sperato.

L’aiuto della citizen science e il ritardo dell’Italia

Di roadkill in Italia si è occupato anche, negli anni scorsi, un gruppo di ricercatori, analizzando – grazie al contributo della cosiddetta citizen science – un totale di 529 incidenti stradali “certificati”, che hanno coinvolto 33 specie diverse, tra cui 13 specie di mammiferi, 10 di uccelli, 6 di rettili e 2 di anfibi. I risultati dello studio, concentrati in particolare sulle strade della Campania e confluiti in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Ecological Process, mostrano come in picchi degli incidenti si concentrino nei mesi invernali e primaverili, identificano le specie più vulnerabili (volpe, riccio e tasso in primis) e suggeriscono una mappa del potenziale rischio, con un riguardo particolare alle infrastrutture a ridosso di orti e frutteti, che “potrebbe aiutare a pianificare il posizionamento di misure di mitigazione”.


“Quel che abbiamo evidenziato – spiegano gli autori della ricerca, Francesco Valerio, Marco Basile e Rosario Balestrieri – è che il posizionamento di misure di mitigazione, come le strutture di attraversamento, dovrebbe tenere conto dei cicli di vita delle specie e dei requisiti ecologici. Per valutazioni del genere è però necessaria la raccolta di dati su vaste aree, e la citizen science, sperimentata attraverso la creazione di un form specifico compilato dai cittadini, può essere fondamentale”. Alla citizen science si è appellato anche il Museo di Storia Naturale di Ferrara, che ha avviato una raccolta dei casi di investimenti stradali di animali lungo le strade del Delta del Fiume Po, con focus sulle province di Ferrara, Rovigo e Ravenna: già oltre 1500 le osservazioni registrate sul portale inaturalist.org.

Dalla Svezia al Portogallo, gli esempi virtuosi

Lupi e orsi, ma anche tanti uccelli muoiono sulle strade italiane ad alto scorrimento. “Sono quelli che fanno meno notizia, perché spesso gli automobilisti neanche se ne accorgono, ma vi assicuro che tantissimi merli, tordi e anche rapaci vengono investiti sulle nostre strade. – dice Marco Antonelli del Wwf – Insieme a opere di mitigazione del rischio, con sovrappassi e sottopassi, auspichiamo punizioni esemplari per gli automobilisti che non rispettano i limiti e più autovelox e dossi: l’alta velocità di transito impedisce di far fronte all’imprevisto, un animale selvatico che sbuca sulla carreggiate”.

E tra le specie più colpite c’è certamente il tasso: “Proprio così. – conferma il naturalista, divulgatore e fotografo Marco Colombo – in Inghilterra ne vengono investiti circa 50 mila ogni anno, in Italia non abbiamo stime così precise, ma sono sicuramente moltissimi. Nel Centro Recupero Piacenza Wildlife Rescue Center ho documentato, nell’ambito di uno dei miei ultimi progetti, le storie di alcuni di loro: mi hanno insegnato che anche con le zampe rotte si può tornare a correre. Ma la strage sulle strade non è ammissibile, neanche con le specie più comuni”.

La strada è dunque ancora lunga, benché ci siano realtà virtuose, anche metropolitane, alle quali ispirarsi: per esempio Stoccolma, con i suoi corridoi ecologici, mitiga gli effetti negativi dell’antropizzazione sugli ecosistemi garantendo agli animali selvatici una libertà di movimento anche in città.

E tra i Paesi più all’avanguardia c’è senz’altro il Portogallo, dove il progetto di conservazione Life Uevora si è tradotto nella costruzione di tunnel per anfibi, sottopassi con passerelle per l’attraversamento di mammiferi, deterrenti a ultrasuoni e segnali stradali diffusi per sensibilizzare gli automobilisti. Anche il naturalista italiano Francesco Valerio ha preso parte al progetto, cui ha dedicato un dottorato di ricerca: “Abbiamo sviluppato linee guida universali su opere di mitigazione del rischio, qui – più che in Italia – la cosiddetta road ecology ha una sua importanza prioritaria”.