L’aveva annunciato nel corso della sua visita romana la settimana scorsa: “Entro pochi giorni sarò a Teheran. Per incontrare il presidente Masoud Pezeshkian e visitare alcuni impianti nucleari iraniani”. E poche ore fa Rafael Mariano Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), è atterrato nella capitale iraniana e ha avuto un primo colloquio con il leader del Paese degli ayatollah. Ma l’agenda del 63enne diplomatico argentino è fitta di appuntamenti che hanno a che fare con le crisi più gravi sullo scenario geopolitico, tutte in qualche modo collegate al nucleare: oltre allo scontro tra Israele e Iran con le facilities atomiche di Teheran possibile bersaglio di rappresaglia, la guerra in Ucraina con le centrali sotto tiro e l’escalation della Corea del Nord che esibisce i suoi missili balistici. Grossi gira il mondo per tenere aperto il dialogo. Ma non può fare a meno di sottolineare come negli ultimi anni il contesto politico globale si sia deteriorato: “C’erano delle linee rosse invalicabili, dai diritti umani al non colpire siti nucleari. Ora le si oltrepassa”. E auspica un ritorno alla “diplomazia attiva”, quella fatta di viaggi, incontri e dialoghi, contrapposta alla passività di chi, pur in ruoli di responsabilità, si limita a “osservare ciò che accade e a fare post sui social network”.

Direttore Grossi, qual è la crisi “nucleare” più urgente da risolvere?

“La centrale nucleare di Zaporizhzhia continua a destare preoccupazione: è un enorme impianto nucleare nel pieno di una zona di guerra. Non vediamo una possibile soluzione immediata e sappiamo che un incidente nucleare, come possibile conseguenza di azioni militari, è imprevedibile”.

La Aiea ha ancora i suoi ispettori all’interno?

“Sì. Come anche nelle altre centrali nucleari ucraine. E il mese scorso, dopo il mio ultimo incontro con il presidente Zelensky, ho avviato il monitoraggio delle stazioni elettriche di trasmissione. È una novità importante per la sicurezza nucleare, vista la loro funzione di alimentazione dei sistemi di raffreddamento: colpirle può produrre effetti ancor più letali che sparare direttamente sulla centrale. Sono consapevole che non sia una garanzia totale, ma è comunque un monitoraggio ‘dissuasivo’”.

Non è però riuscito nella sua idea iniziale di creare una zona “santuario” intorno a Zaporizhzhia. “Ho capito che i militari non avrebbero accettato. Da negoziatore mi sono adeguato e ho creato un sistema di regole e comportamenti: si può mettere nero su bianco che certi mezzi militari non possono essere schierati in alcune aree, con la Aiea si occupa del monitoraggio. Questo mi ha permesso di avere un po’ più di flessibilità dalle parti coinvolte”.

Ha trovato flessibilità anche nel presidente russo Putin, che ha visto l’ultima volta a marzo?

“Non so se chiamarla flessibilità. Ha dimostrato di capire la logica di questa mia idea. E lo stesso posso dire di Zelensky”.

Veniamo al Medioriente. Ritiene possibile una attacco israeliano alle infrastrutture nucleari dell’Iran? E quali conseguenze avrebbe?

“Non possiamo escludere alcuna ipotesi. E alla Aiea abbiamo già una idea di cosa accadrebbe nel caso di attacco all’una o all’altra facility. Proprio per questo ritengo indispensabile sempre più diplomazia: il mio viaggio in Iran va in questa direzione”.

Una visita simbolica?

“Certamente c’è un messaggio simbolico: il direttore generale della Aiea è lì. Ma lo scopo è anche dire agli iraniani che deve migliorare il livello di trasparenza sul loro programma nucleare. Non posso scendere nei dettagli, ma ho sviluppato una serie di idee e di iniziative”.

Teheran punta a ripristinare il trattato JCPoA voluto da Obama nel 2015 e poi annullato da Trump nel 2018.

“Sì, ma tutto è cambiato da allora. Oggi la Federazione Russa è schierata con l’Iran, mentre quel trattato fu il frutto di una azione congiunta di Cina, Russia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania. Inoltre, il programma iraniano in questi anni ha raggiunto livelli molto più importanti, per esempio per quanto riguarda la produzione di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio: il JCPoA era relativo a una utilitaria, ora hanno una Ferrari”.

Cosa sta succedendo in Corea del Nord?

“Ne sappiamo abbastanza: sugli impianti per l’arricchimento dell’uranio abbiamo condiviso informazioni con elevato grado di precisione. Ma oltre alle armi nucleari di Pyongyang, mi preoccupa la sicurezza: è l’unico programma nucleare al mondo che si sottrae a qualsiasi controllo. Non abbiamo la minima garanzia dell’applicazione di standard di sicurezza”.

Veniamo al nucleare civile. Si può parlare di una rinascita, visto che le Big Tech stanno puntando sull’energia nucleare per far fronte ai grandi fabbisogni di elettricità che servono ad alimentare i loro server? dopo Microsoft, Google, Open Ai, nelle ultime ore lo annunciato anche Mark Zuckerberg, ceo di Meta.

“È un momento di grandi opportunità. Queste aziende stanno avendo un approccio intelligente, pratico e moderno: prima di iniziare questo tipo di percorso vengono da noi per chiedere come si fa, quali sono le caratteristiche principali dei piccoli reattori modulari. Non vogliono certo vedersi coinvolti in un incidente”.

Anche l’attuale governo italiano vuole riaccendere reattori per produrre elettricità. Ci sono contatti tra Roma e l’Aiea?

“Ne abbiamo parlato l’altro ieri con il ministro Pichetto Fratin. L’agenzia un approccio imparziale, non abbiamo interessi commerciali, aiutiamo se veniamo interpellati. Possiamo per esempio fornire sostegno tecnico sullo sviluppo dei reattori modulari: conosciamo tutto quello si sta facendo nel mondo, tutto il catalogo dei modelli e sappiamo quali sono le loro caratteristiche”.

E la fusione nucleare di cui parlerete a Roma è ancora una chimera?

“Sono stati fatti grandi progressi, ma in ordine sparso, con tante isole che finora non si sono parlate. Il World Fusion Energy Group è il nostro modo di dare al lavoro sulla fusione l’integrazione che mancava”.

Nelle sue giornate romane ha incontrato anche il Papa. Di cosa avete parlato?

“Di sicurezza e di pace. Da leader etico, morale e religioso, ritiene che tutti questi problemi vadano affrontati mettendo al centro l’essere umano. Il Santo Padre parla a tutto il mondo e la sua voce è molto ascoltata, anche in Paesi non cattolici. Io, su una scala assai più modesta, voglio essere un ponte logico, pratico, non arrogante ma utile. Parlo con Puntin e Zelensky, con iraniani e americani. Bisogna che qualcuno faccia questo lavoro. Osservare ciò che accade e fare post sui social network non serve a niente”.