Il cambiamento climatico c’entra, eccome. Perché il rapporto causa-effetto sugli eventi meteorologici estremi che interessano il Pianeta, e non risparmiano il nostro Paese, è a prova di negazionisti. Dalle ondate di calore che rendono invivibili le metropoli d’estate alla siccità, le cui conseguenze – in primis in Sicilia – sono diventate una priorità, fino alle alluvioni, con un conto salatissimo in termini di vite umane, come a Valencia: la comunità scientifica non ha alcun dubbio sui motivi alla base dell’intensificarsi, per frequenza e consistenza, di fenomeni climatici avversi. Per certificarli è attiva la World Weather Attribution (WWA), una collaborazione accademica nata proprio per calcolare l’impatto del cambiamento climatico su eventi meteorologici estremi: i suoi studi ‘fotografano’ la situazione attuale, auspicando una consistente riduzione delle emissioni, condizione essenziale per contrastare il climate change.
Ondate di calore più intense e più lunghe
Le ondate di calore, per esempio, stanno diventando più intense e più lunghe. Già, ma perché? Secondo i ricercatori anche un piccolo aumento delle temperature medie può avere effetti considerevoli nel determinare picchi estremi di caldo. La modellistica aiuta a comprendere la relazione tra cambiamento climatico, legato all’impronta dell’uomo, e le ondate di calore, che si verificano per effetto delle cosiddette cupole di calore, che si formano quando un’area di alta pressione resta fissa per giorni o settimane, “intrappolando” di fatto l’aria calda al di sotto.
Due gli scenari che ispirano altrettanti modelli: quello reale, in cui l’uomo influisce sul riscaldamento globale con una variazione stimata in 1,2° C, e uno scenario immaginario, in cui non eserciti alcuna influenza. Così il gruppo di ricerca della World Weather Attribution ha per esempio stabilito che i picchi registrati lo scorso aprile in Mali, con temperature che hanno superato i 48 gradi nella regione del Sahel, provocando un aumento di ricoveri ospedalieri e decessi, non si sarebbero registrati senza il cambiamento climatico causato dall’uomo. E i modelli prevedono un incremento di episodi simili: nel 2022, nel Regno Unito le temperature hanno superato per la prima volta i 40 gradi, a luglio. “Senza il cambiamento climatico, sarebbe stato estremamente improbabile”, ha sottolineato la WWA.
E si indagano anche le potenziali influenze dirette dell’innalzamento delle temperature nell’Artico, che si riscalda quattro volte più velocemente del resto del mondo. Influenzando, è l’ipotesi dei ricercatori, la fascia di venti veloci nell’alta atmosfera nota come “jet stream”. Potrebbe, questa, essere una delle cause dirette della formazione delle cupole di calore.
Cresce il numero di piogge torrenziali
Il rapporto tra riscaldamento globale e intensificazione delle piogge torrenziali è chiaro. Per ogni grado in più della temperatura media, è addirittura calcolato un aumento potenziale dell’umidità nell’atmosfera del 7%. Con una maggiore umidità, cresce esponenzialmente il rischio di precipitazioni più intense: la sua probabilità, secondo la WWA, raddoppia. A settembre, eventi alluvionali hanno colpito Polonia, Repubblica Ceka, Romania, Austria e Italia. A ottobre, in Emilia-Romagna e a Valencia: le immagini hanno fatto il giro del mondo. E che “la maggiore frequenza e intensità di piogge forti sulla maggior parte delle regioni terrestri sia una conseguenza dell’attività umana”, lo ha di recente ribadito anche l’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, un gruppo intergovernativo scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite.
Periodi più lunghi di siccità
Il Pianeta va verso una chiara polarizzazione: alcune aree stanno diventando più umide, altre più secche e, dunque, più inclini a lunghi periodi di siccità. Condizione, quest’ultima, favorita dalle ondate di calore alimentate dal cambiamento climatico: aumenta – con temperature medie più elevate, e più a lungo – l’evaporazione dal suolo, l’aria si riscalda più rapidamente e, come in circolo vizioso, aumenta anche la richiesta di acqua, in particolare nel settore agricolo. L’Africa orientale è un esempio chiaro: qui, tra il 2020 e il 2022, sono ‘saltate’ cinque stagioni delle piogge. E l’area ha sofferto la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, con lo sfollamento di più di un milione di persone nella sola Somalia: i cosiddetti migranti climatici non sono un’ipotesi futuribile, ma una certezza concreta. Altro caso emblematico è la siccità registrata nella foresta pluviale dell’Amazzonia nella seconda metà del 2023: la peggiore mai registrata. “Situazioni siccitose di questo tipo hanno una probabilità maggiore di cento volte, a causa del cambiamento climatico”, sottolinea la WWA.
Più combustibile per gli incendi
Benché ci siano diverse stime attendibili e non vi siano dubbi particolari sul trend, calcolare l’incremento degli incendi causato dal cambiamento climatico è operazione complessa.
Riscaldamento globale
Gli incendi aumentano con il cambiamento climatico: lo studio
di Anna Lisa Bonfranceschi
Quel che è più semplice stabilire, come sottolinea l’Intergovernmental Panel on Climate Change è l’estensione delle condizioni meteorologiche che aiutano la diffusione dei roghi boschivi. Picchi di calore estremo prolungati inaridiscono terreno e vegetazione, fornendo di fatto del combustibile per la diffusione degli incendi, ulteriormente alimentati da venti forti. Nel 2023, per esempio, il Canada ha vissuto di gran lunga la sua peggiore stagione di incendi boschivi mai registrata. Qui, secondo gli studi della WWA, le probabilità di incendi sono più che raddoppiate in risposta al cambiamento climatico. Non solo: gli effetti combinati del cambiamento nell’uso del suolo e del climate change prefigurano una maggiore frequenza e intensità degli incendi a livello globale, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). Un aumento fino al 50% entro il 2100, secondo i modelli sviluppati dai ricercatori.
Betti: “Dati chiari, impossibile negare”
“In tempi in cui i negazionismi cercano di farsi largo nell’opinione pubblica, ribadire numeri alla mano il nesso evidente tra fenomeni meteorologici estremi e cambiamento climatico è quanto mai importante. – commenta Giulio Betti, meteorologo e climatologo presso il Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale) e l’Istituto di Bioeconomia del Cnr – L’energia in surplus si traduce in ondate di calore, eventi pluviometrici importanti e serie siccitose più lunghe, intense e frequenti rispetto al passato. Oggi nessuno può negare che le ondate di calore in Italia siano in forte aumento, addirittura quadruplicate in alcune aree del centro nord, e che abbiamo un trend di crescita significativa in tutto il mondo. Né bisogna considerare fenomeno estremo solo l’evento alluvionale: lo è qualsiasi evento significativo che esuli dal normale trend legato alla stagionalità e che non abbia carattere di assoluta eccezionalità. Una casistica chiaramente in crescita, purtroppo”.