Grecia. La salvezza del Parco Nazionale della foresta di Dadia-Lefkimi-Soufli, situato nella regione della Macedonia Orientale e Tracia – scampato miracolosamente a uno dei più vasti incendi che nella seconda metà di luglio hanno flagellato il Paese, è stata salutata dal ministro dell’ambiente come un grandissimo successo. “Il rispetto e la protezione dell’ambiente rimangono uno degli impegni fondamentali del nostro governo”, ha scritto in una nota il ministro Costas Skrekas.
Ma gli ambientalisti ellenici sono di tutt’altro avviso. E ricordano, semmai, che, con l’incendio in atto, il governo stava cercando di far passare in Parlamento una nuova legge, che a detta di una dozzina di associazioni non governative avrebbe indebolito la normativa a tutela dei parchi. La nuova regolamentazione avrebbe permesso nei parchi nazionali lo svolgimento di attività oggi non ammesse, dalla costruzione di strade e siti turistici o addirittura di impianti di stoccaggio per elettricità o telefonia. Al settimo giorno di roghi a Dadia, il progetto è improvvisamente stato estratto dall’agenda governativa, che ha prospettato “ulteriori consultazioni”.
Insomma, verrebbe quasi da pensare positivo. Il dramma di quella foresta che costituisce uno delle più importanti aree europee per la riproduzione di rapaci – ospita tre delle quattro specie di avvoltoi euiopei, avvoltoio monaco, grifone e capovaccaio – potrebbe aver contribuito a evitare il peggio. Ma il condizionale è d’obbligo: la legge potrebbe semplicemente essere stata accantonata in attesa di tempi più favorevoli.
Tra i molti ecosistemi, che ricevono finanziamenti inadeguati e soffrono l’eterna carenza di personale addetto a perpetrare il rispetto delle regole, Dadia sulla carta sembra uno di quelli messi meglio. Ma gli ambientalisti greci non condividono affatto. Spyros Psaroudas, direttore del gruppo Calisto, che tutela la fauna selvatica, racconta all’agenzia di stampa France Presse di un “baco cronico” nella normativa greca a tutela della natura, ed è inoltre convinto che il governo attuale stia cercando di creare un terreno favorevole al business e allo stesso tempo penalizzante per la natura.
“C’è un difetto di coordinamento tra i ministeri, manca una chiara assegnazione delle competenze – aggiunge Nadia Andreanidou, dirigente di Medasset, Associazione mediterranea per la salvezza delle tartarughe di mare -. Un circolo vizioso che genera cattiva gestione delle aree protette”
Dimitris Vasilakis, ingegnere forestale, tra gli estensori del piano operativo per la gestione dell’incendio a Dadia, racconta che il parco ha appena 4 ranger per controllare 800 chilometri quadrati. Il servizio forestale locale che supervisiona l’area riceve dallo Stato meno di 50mila euro, un quinto di quello che dovrebbe.
Oltre 300 pompieri hanno combattuto contro il fuoco, 8 giorni e altrettante notti, per riuscire a proteggere l’area di nidificazione, nel cuore di Dadia. Qualche giorno fa il ministero dell’ambiente di Atene ha dichiarato che l’incendio, iniziato il 21 luglio scorso, ha distrutto poco più di 2.200 ettari di foresta. Le prime indicazioni sembrano suggerure che i nidi dei rapaci siano stati quasi del tutto salvati.
Ma l’episodio, che ha indotto le organizzazoni ambientaliste locali a manifestare pubblicamente ad Atene, ha portato alla luce una lunga storia di controversie e fallimenti, da parte della Grecia, in materia di politica di tutela dell’ambiente. Un tema su cui il governo ellenico è stato più volte chiamato a riferire di fronte alla Corte Europea di Giustizia.
Come quando nel dicembre 2020, la Corte di Lussemburgo redarguì Atene per aver creato – per sua stessa ammissione – meno del 20 per cento delle infrastrutture di tutela e salvaguardia per 240 aree protette, nell’ambito del progetto europeo Natura 2000 Network sulle aree abitate da specie protette.
Chaikleia Minotou, che nell’isola di Zante-Zacinto guida il programma per la protezione della tartaruga caretta caretta, portato avanti dalla sezione greca del WWF, racconta che ci sono “centinaia” di lamentele e multe contro centinaia di pratiche illegati che le autorità non riescono a controllare. E ancora, quando, nel 2018, venne emanato un decreto presidenziale a tutela del golfo di Kyparissia, nello Ionio, a difesa delle tartarughe di mare e delle balene che frequentano quell’area, venne sfidato – anche a giudizio – da tre comuni, due compagnie che operano del turismo e due gruppi di cittadini residenti nell’area.
A tutto questo s’aggiunge quella che sembra essere la più facile e rapida soluzione a uno dei problemi del momento. La carenza di materie prime sul fronte dell’energia, conseguenza della guerra Russia-Ucraina – ha indotto il governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis ad intensificare la campagna di ricerca di idrocarburi proprio nello Ionio. A febbraio, lo spiaggiamento di alcuni zifi, cetacei del sottordine di delfini e capidogli che vivono in profondità fu associato alle ricerche nei fondali, ma l’agenzia statale greca che gestisce gli idrocarburi smentì il nesso.
Secondo i gruppi ambientalisti greci, ogniqualvolta che il governo greco introduce una legge a tema, è peggiorativa. Nel 2020, la Grecia ha creato una nuova struttura per gestire i suoi parchi, l’Agenzia per l’ambiente naturale e i cambiamenti del clima. In quel processo: 36 organi di gestione sono stati ridotti a 24. Oltre a tutto questo, la nuova struttura ha escluso categoricamente, non solo le associazioni non governative, ma anche le amministrazioni locali, da sé e da ogni possibilità di decisione. “Abbiamo bisogno di parchi dove la comunità locale possa partecipare e dove abbia una rappresentanza democratica”, dice Psaroudas (Callisto).