Nonostante il suo nome, Patience sta perdendo la pazienza, ma non la speranza. Il suo Uganda è l’emblema di come può colpire la crisi climatica: poche settimane fa il governo ha dichiarato che nella zona di Karamoja a causa della siccità almeno 900 persone sono morte di fame. In tutto il Paese i raccolti sono sempre più scarsi e complessi: o vengono spazzati via dalle inondazioni, o non crescono per terreni diventati completamente secchi. E poi ci sono le cavallette. Di tutto questo, dell’Africa che è responsabile per appena il 4% delle emissioni climalteranti globali, nessuno parla, nessuno si interessa.
Così Patience Nabukalu, 24 anni, quando i Fridays For Future l’hanno invitata a raggiungerli al Meeting Europeo di Torino, è volata in Italia per provare a lanciare un grido di aiuto, in qualità di rappresentate dei Paesi Mapa, quelli che soprattutto nel Sud del mondo sono più colpiti dalla crisi climatica. A Green&Blue Patience racconta di essere arrivata qui con la speranza di “discutere come possiamo lavorare insieme, con gli europei, come possiamo collaborare per gli aiuti al mio e agli altri Paesi in difficoltà”.
La sua storia personale in parte descrive già molti di questi problemi che dopo l’infanzia l’hanno spinta a iniziare a lottare contro la crisi climatica e l’ingerenza dell’uomo. Per lei, dice, ogni volta che piove è una brutta giornata e il motivo è legato al suo difficile passato. “Vengo da una piccola zona vicino a Kampala, dove con mia madre, asmatica, sono cresciuta in una piccola casa dove in certi periodi pioveva ogni giorno: le inondazioni nel tempo sono diventate più intense e costanti e molte volte l’abitazione si è completamente allagata. Con mia madre malata, non potevo andare a scuola: passavo il tempo a cercare di drenare l’acqua”.
Cresciuta, è riuscita a studiare e a comprendere come “una delle causa legate all’intensificazione della crisi climatica è stata la perdita delle zone umide che tenevano tutto in equilibrio: sono state invase, distrutte e vendute alle industrie da parte del governo per realizzare profitti. Senza le zone umide, tutto è sballato. Questo mi ha spinto a combattere per ripristinarle e a lottare per le persone con le case e le vite colpite dalla crisi climatica. Nel 2020 mi sono unita al movimento di Fridays For Future e ho cominciato a fare scioperi per il clima”.
Anche manifestare il proprio dissenso sulle politiche del governo, scrivere e mostrare cartelli che parlano di un Pianeta B che non esiste, in Uganda può però essere pericoloso. “Fare attivismo, anche per il clima, viene visto come attivismo politico e non è permesso. Rischiamo tanto, anche gli arresti. Ma continueremo a combattere per esempio contro l’oleodotto Eacop, una bomba climatica che impatterà su tutta l’Africa orientale con un gigantesco disastro ambientale”. L’East Africa Crude Oil Pipeline, che sarà il più lungo oleodotto riscaldato del mondo, secondo Patience farà danni incalcolabili: “Si parla di un progetto da 1440 chilometri che sarà responsabile di 34 milioni di tonnellate di CO2 emesse ogni anno”.
I morti per siccità, i danni delle inondazioni, i disastri che potrebbe causare l’oleodotto “sono una realtà – dice Patience – la crisi climatica è reale e in Africa colpisce ogni giorno. I mega progetti sono di stampo coloniale, sono legati a interessi anche europei. Sono qui per chiedere al Nord del mondo di smetterla con le politiche colonialiste e con l’estrazione di combustibili fossili, di unirsi a noi nella lotta all’emergenza clima, di sostenerci. Personalmente, ho paura per il futuro dei bambini, per il mio futuro, ma sento anche che non posso avere questo timore perchè dentro di me c’è tanta speranza e sto agendo perché cambino le cose. Spero che lo faccia anche il resto del mondo”.