Da cinquant’anni il capitano Paul Watson ha un solo obiettivo: fermare la caccia alle balene. In decadi di lotta con Sea Shepherd, l’organizzazione che ha fondato, è riuscito a fermare, boicottare o controllare decine di imbarcazioni che operano nella caccia ai grandi cetacei. In alcuni casi però l’azione del 73enne è andata oltre: nel 2012 il Giappone ha emesso un mandato di arresto (dell’Interpol) con l’accusa di danneggiamento di una nave baleniera nipponica in Antartide, accuse che contengono anche il ferimento (con una bomba puzzolente) di un membro dell’equipaggio giapponese.
Sulla base di quel mandato lo scorso 21 luglio Paul Watson è stato arrestato a Nuuk, capitale del territorio autonomo danese della Groenlandia ed è finito dietro le sbarre. Ora si aprono due grandi scenari: il primo è il prolungamento della sua detenzione in Groenlandia, come chiederanno in attesa di processo i suoi legali, oppure l’estradizione in Giappone, come vorrebbero i nipponici, decisione sulla quale il tribunale danese si esprimerà il 4 settembre. Nel frattempo, dopo quasi sei settimane di cella, Paul Watson ha parlato con l’agenzia francese Afp della sua battaglia, definendo un concetto molto chiaro: “La mia lotta continua, ho solo cambiato nave. Ora la mia nave è il carcere di Nuuk” ha spiegato. Dopo la detenzione dell’attivista sono scattate in tutto il mondo petizioni per chiedere il suo rilascio (la più importante ha già 100mila firme) e i suoi sostenitori temono che se Watson verrà estradato in Giappone – uno dei pochi Paesi dove ancora oggi nel mondo è in vigore la caccia alle balene – rischi 15 anni di carcere.
“Se pensano che ciò impedisca la nostra opposizione – ha detto Watson – devono sapere che ho appena cambiato nave. La mia nave in questo momento è Prison Nuuk. I giapponesi vogliono dare il buon esempio e far capire che non si scherza con la loro caccia alle balene” ma lui “non molla” dice. Non è la prima volta che Watson viene arrestato. Nel 2012 per esempio fu fermato in Germania, su richiesta delle autorità del Costa Rica, per un altro incidente, poi rilasciato su cauzione. A sua difesa nelle ultime settimane con l’hashtag #FreePaulWatson si sono schierate migliaia di persone, ma anche autorità e persone del mondo dello spettacolo. L’ufficio del presidente francese Emmanuel Macron ha per esempio chiesto alla Danimarca di evitare di estradare Watson, così come Brigitte Bardot si è spesa a più riprese per difendere l’operato del capitano.
“Non ho fatto nulla – si è difeso ancora il fondatore di Sea Shepherd, ora impegnato con la sua Captain Paul Watson Foundation, parlando con l’Afp – e anche se lo avessi fatto la sentenza sarebbe al massimo una multa 1.500 corone (223 dollari) in Danimarca, non una condanna al carcere, mentre il Giappone vuole condannarmi a 15 anni”. Watson ha raccontato come il suo obiettivo fin dal 1974 sia “sradicare la caccia alle balene e spero di riuscirci prima di morire”, specificando che la sua organizzazione non è “di protesta”, ma “di controllo”, per garantire la protezione dei mari e delle creature che li abitano, respingendo a forza l’etichetta di “eco-terrorista” usata contro di lui. “Non oltrepasso mai i limiti, non ho mai fatto male a nessuno. Faccio un’interferenza aggressiva e non violenta. Non c’è contraddizione tra aggressività e non violenza: significa che cercherò di strappare l’arpione alla persona che sta cercando di uccidere una balena, ma non le farò del male”.
Durante la detenzione il 73enne ha spiegato anche come dalla finestra della sua cella si veda il mare, dove è riuscito ad osservare balene e iceberg. “È quasi come se fossi sul ponte della mia nave, la prigione migliore in cui sia mai stato” ha affermato, spiegando come a mancargli più di ogni altra cosa in questo momento siano i suoi due figli. Per gran parte del tempo in cella scrive: messaggi e raccomandazioni che passa a Lamya Essemlali di Sea Sheperd Francia, la persona che lo sta aiutando quotidianamente in questo momento complesso. A sostenerlo, anche centinaia di persone che stanno inviando lettere al capitano, e perfino i suoi compagni di cella. “Ho firmato autografi quando sono arrivato” ha detto Watson col sorriso. Molte delle missive ricevute sono firmate da bambini che chiedono, proprio come lui, di fermare l’uccisione dei grandi cetacei nel mondo. “Se riusciamo a raggiungere i bambini, penso davvero che le cose possano cambiare” ha concluso il capitano.