I dati dell’ultimo dossier realizzato dal Wwf, in collaborazione con l’Istituto Alfred Wegener, toglierebbero il sonno anche all’ambientalista meno convinto: i nostri mari sono malati, malati di plastica. Otto miliardi di tonnellate invadono gli oceani, un peso enorme, doppio rispetto a quello totale di animali terrestri e marini. Nel 2020 si sono prodotti oltre 367 milioni di tonnellate di plastica nel mondo. Il mercato più grande è quello degli imballaggi, un problema che affligge tutti i settori industriali, incluso quello alimentare.
Oggi il 37% degli involucri per alimenti è in plastica, pensiamo alle monoporzioni, alle vaschette con i cibi già pronti e all’over-packaging. Ci sono due fronti sui quali agire per cercare di arginare il problema: da un alto le aziende del comparto alimentare da anni lavorano per ridurre la quantità di imballaggi utilizzati e individuare soluzioni che impattino il meno possibile sull’ambiente. Ma la rivoluzione può partire anche dalle nostre case, preferendo cibi sfusi, utilizzando contenitori riutilizzabili e pellicole salva alimenti alternative alla plastica, sostenibili e biodegradabili. Un tempo introvabili, oggi la scelta è sempre più ampia.
La cera (d’api o vegetale)
Partiamo dalla cera d’api, che si è dimostrata uno strumento efficace per la trasformazione green delle nostre cucine. L’intuizione di Beeopak risale al 2018: cotone biologico imbevuto di cera d’api, olio di nocciole piemontesi e resina di pino, una soluzione con alte capacità antibatteriche che va a proteggere il cibo incartato. Realizzata a mano, Beeopak è lavabile e quindi riutilizzabile, non contiene residui di metalli pesanti derivati dalla stampa e l’imballaggio è fatto a sua volta di carta riciclata.
Un’altra alternativa è Apepak, un’idea trevigiana fatta di uno strato di cotone biologico, imbevuto di cera d’api degli apicoltori Conapi Mielizia, olio di jojoba e resina di pino naturale. Può essere facilmente plasmato, anche solo con il calore delle mani, il lavaggio non richiede particolari accortezze, è un prodotto innovativo ed ecologico, nato tra la California e l’Italia, che si pone come alternativa agli involucri usa e getta di carta, plastica e alluminio impiegati comunemente per conservare gli alimenti. Un prodotto non solo sostenibile a livello ambientale ma anche etico: Apepak è infatti realizzato dalla Cooperativa Sociale L’Incontro Industria 4.0, che ha come obiettivo l’inserimento nel mondo del lavoro di persone diversamente abili.
Oltre alla cera d’api, esistono tante alternative vegane: dai fogli in cera di soia di Serendipity Naturals a quelli in cera di oliva di Ecoliving.
Le bioplastiche dal mais
Altre pellicole invece sono realizzate in bioplastica e ne esistono diverse tipologie. Le più diffuse sono quelle per alimenti realizzate in Mater Bi, materiale brevettato dall’italiana Novamont a partire dall’amido di mais e oli vegetali, provenienti dall’agricoltura tradizionale, senza alcuna modifica genetica, biodegradabile e compostabile e adatto a tutti gli alimenti anche in contatto diretto. Per esempio Leaf, è la pellicola compostabile sviluppata dall’azienda vicentina Crocco che si può gettare senza pensieri nella raccolta differenziata dell’umido. Una curiosità: nel ciclo di produzione di Leaf le emissioni di CO2 vengono compensate attraverso l’acquisto di carbon credits certificati da enti abilitati, ovvero sostenendo progetti sostenibili come riforestazioni o produzione di energia da fonti rinnovabili, come previsto dagli accordi internazionali. Un altro esempio è Rotofresh, pellicola naturale, trasparente e aderente come vuole la consuetudine, realizzata sempre in Mater-bi, si declina in diverse forme a partire dalle buste per la spesa ai sacchetti per la conservazione degli alimenti, nonché stoviglie come piatti e bicchieri monouso.
Naturalmente la parte del leone in questa rivoluzione la fanno le aziende del comparto alimentare, che da anni oramai si stanno attrezzando per adottare sempre più soluzioni sostenibili a livello di packaging alimentare, sia nella fase di trasporto, che di esposizione e vendita. La motivazione è etica, ma anche di mercato: gli studi dimostrano che le aziende che impiegano il packaging sostenibile migliorano la propria brand reputation e ottengono un ritorno economico maggiore. La sostenibilità rappresenta oggi un vero e proprio volano economico: secondo l’Harvard Business Review, il 65% dei giovani preferisce comprare prodotti da brand che hanno a cuore i problemi climatici e ambientali. Gli esempi sono molti: tra gli ultimi, in ordine di tempo, quello della catena tedesca Lidl che con i ricercatori dell’Empa, ha da poco messo a punto uno speciale rivestimento protettivo in cellulosa, a partire da materie prime rinnovabili, che può essere applicato a frutta e verdura. Il risultato del lavoro iniziato nel 2019 è che la frutta e la verdura coperte con la cellulosa rimangono fresche molto più a lungo. Un concetto molto simile a quello della bio-pellicola Ally, sviluppata dalla startup torinese Agree, realizzata a partire da scarti di riso, mais, nocciole e bucce di pomodori, tra le tre finaliste italiane del Green Alley Award 2021-2022.
Nel campo della bioplastica destinata agli alimenti potrebbero esserci a breve molte novità all’orizzonte: i ricercatori del Centro Ricerche ENEA di Brindisi, da un paio d’anni sono impegnati nella realizzazione di biopellicole per alimenti intelligenti e antimicrobiche, ricavate dalla trasformazione degli zuccheri contenuti nel mais e nelle barbabietole, soluzioni intelligenti, che cambiano colore in caso di deterioramento del cibo o ne prolungano la scadenza, 100% biodegradabili e compostabili.
E quelle dagli scarti del pesce
Altre soluzioni arriveranno da pesci e i crostacei, soprattutto dagli scarti che derivano dalla loro lavorazione, che si stanno rivelando una risorsa strategica per l’eliminazione della plastica dai nostri frigoriferi e dispense. È il caso di Shrilk, una pellicola fatta di chitosano, una sostanza naturale derivata dalla chitina, un polimero che protegge crostacei e insetti conferendo durezza e resistenza a gusci e corazze. Si tratta di un progetto portato avanti dal Wyss Institute dell’Università di Harvard che lo ha utilizzato, unendolo a una proteina della seta chiamata fibroina per dar vita a questo materiale 100% biodegradabile.
Gli scarti del pesce e il chitosano sono al centro anche di Fish4Fish, il progetto di ricerca dell’Università degli Studi di Siena portato avanti dai laboratori del Dipartimento di biotecnologie, chimica e farmacia: dagli scarti di lavorazione del pesce, in particolare dei gamberetti, si ottiene così una bioplastica, biodegradabile e compostabile, con proprietà antimicrobiche, antiossidanti e fotoprotettive.
Le squame, la “pelle”, la lisca, le spine, la testa, le interiora di pesce diventano Relicta, una bioplastica naturale trasparente che si scioglie in acqua e può essere utilizzata per avvolgere alimenti, ma anche cosmetici e oggetti di tecnologia. Questa bioplastica, idrosolubile, biodegradabile, compostabile, trasparente e inodore, resistente e flessibile, uguale in versatilità ai materiali “tradizionali” è stata brevettata all’Università di Sassari, e sarà presto adottata da alcune delle più importanti aziende ittiche tra le quali una norvegese.