Nella sua storia millenaria su come il clima e l’ambiente abbiano plasmato la storia dell’umanità, Peter Frankopan nel suo libro Tra la terra e il cielo racconta come le prime città siano sorte in luoghi con abbondanti risorse e suoli coltivabili, ma circondati da ambienti non abitabili: deserti, montagne, mari.
“Le prime città – osserva – in sostanza, furono un prodotto della necessità, in cui la cooperazione si dimostrò decisiva per riuscire a sopravvivere”. Anche in questa nostra epoca – della crisi del clima e della biodiversità – le città potrebbero avere un ruolo decisivo “per riuscire a sopravvivere”?
Le città sono fortemente esposte agli impatti della crisi climatica: alle ondate di calore in alcuni periodi dell’anno e alle bombe d’acqua, ad allagamenti e alluvioni in altri. Nelle città si continua a generare gran parte delle emissioni di gas serra: con un gran numero di auto alimentate da carburanti fossili, con edifici energivori, con modelli di consumo e di produzione lineari e dissipativi.
Nelle città continuiamo ad avere un pessimo rapporto con la natura: la qualità dell’aria è, in molti casi, cattiva; le acque di falda sono spesso contaminate; i corsi d’acqua sono in genere cementati e in uno stato ecologico non buono; il suolo è sempre più consumato, asfaltato e cementato, mentre numerose aree sono degradate e contaminate; le alberature e le aree verdi sono poche e in sofferenza per carenza di risorse, di gestione e di manutenzione.
Forse per questo, o forse nonostante questo addensamento di problematiche ambientali, nelle città si registra una maggiore sensibilità ecologica, una diffusa preoccupazione per la crisi climatica e, anche fra gli amministratori locali e i sindaci, una maggiore disponibilità all’impegno ambientale. In diverse città c’è un positivo dinamismo sulle tematiche green e si discutono le misure che potrebbero essere prese per accelerare il cambiamento in direzione ecologica: troppo lento e inadeguato, a fronte di problematiche ambientali rilevanti e ampiamente percepite dai cittadini.
Il Green City Network ha proposto una Carta – per “Nature-positive cities”- che individua dieci misure chiave per accelerare e rendere più incisiva la transizione climatica ed ecologica: Carta che ha, rapidamente, raccolto l’adesione di un consistente gruppo di città. La transizione climatica ed ecologica è un percorso obbligato: non ne esistono altri in grado di assicurare possibilità di benessere e di sviluppo, per noi e per le future generazioni.
Come mai è così difficile portarla avanti anche nelle città, dove risulta più necessaria e dove gode dei maggiori consensi? Intanto perché non è una passeggiata, ma una sfida impegnativa. Promuove nuove produzioni e nuovi consumi, e ne penalizza altri. Mette in discussione abitudini e stili di vita, non più sostenibili, ma che a tanti non dispiacciono affatto. E quando avanza e richiede misure più incisive, non fa crescere solo i sostenitori, ma anche gli scontenti, in genere a scapito degli indifferenti.
Gli interessi colpiti fanno maggior rumore, come l’albero che cade, rispetto alla foresta che cresce. Specie se interviene una parte politica che, con scarsa lungimiranza, amplifica e sostiene gli scontenti, facendo del freno alla transizione climatica ed ecologica una bandiera elettorale.
La conservazione dello status quo è facilitata perché segue la corrente. La transizione climatica ed ecologica è un cambiamento di vasta portata: mette in discussione convinzioni e modi di pensare consolidati. Ci sono esempi clamorosi che dimostrano quanto sia difficile mettere in discussione pregiudizi diffusi. Elizabeth Kolbert nel suo La sesta estinzione, per esempio, dopo aver analizzato le grandi estinzioni di specie sulla Terra, osserva che “la scoperta dell’estinzione a opera di Cuvier – la scoperta quindi di un mondo precedente al nostro – fu una notizia sensazionale” e arrivò solo all’inizio del 1800. Benché da tempo si disponesse di numerosi fossili di mastodonti, il concetto scientifico di “estinzione” di specie, non era riuscito, per molti anni, a farsi strada perché era in contrasto con presupposti comunemente accettati e con opinioni consolidate e diffuse che negavano la possibilità di estinzioni di massa di specie viventi.