“È un momento brutto, ma è anche quello giusto per tentare davvero di cambiare mentalità”. La lotta alla crisi climatica che sta portando a temperature sempre più elevate ed eventi meteo sempre più estremi sta vivendo un momento di forte difficoltà: le politiche di oscurantismo e negazione climatica di Donald Trump, il ritorno dei combustibili fossili, il multilateralismo internazionale che scricchiola. Nonostante il Pianeta e la natura chiedano risposte immediate, l’umanità frena nell’affrontare il problema. Eppure, come racconta il fisico dell’atmosfera del Cnr Antonello Pasini nel suo nuovo libro in uscita il 24 aprile intitolato “La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: ragioni per il cambiamento” (Codice Edizioni, 192 pp), siamo ancora in tempo per uscire dalle tendenze attuali, a patto però che per affrontare la sfida decidiamo tutti di “cambiare mentalità”.

Perché, per vincere la sfida del clima, dobbiamo “cambiare mentalità” come racconta nel suo nuovo libro?

“Perché il clima è un sistema complesso, con caratteristiche a cui non siamo abituati. Di solito quando abbiamo un problema noi umani cerchiamo una rapida soluzione per risolverlo ma con il clima non è così: la sua inerzia, le temperature e l’innalzamento degli oceani, l’accumulo di CO2, sono tutti problemi che chiedono un cambio di mentalità, di visione. Dobbiamo cambiare il nostro istinto di voler trovare una soluzione con effetti immediati: dobbiamo risolvere emergenze temporanee ma con la visione del lungo periodo. E negli ultimi anni in più occasioni potevamo farlo, eppure abbiamo perso un treno dietro l’altro”.

Quali treni abbiamo perso?

“Abbiamo perso il treno del dopo Covid per esempio, che poteva essere l’impulso verso un rapporto più armonico con la natura. Abbiamo perso anche il treno dettato dall’invasione russa in Ucraina che poteva essere una spinta verso le rinnovabili invece noi corriamo ancora dietro ai sostituti del gas russo e ora stiamo perdendo anche l’ occasione dei dazi, perché rischiamo di contrattare di comprare petrolio americano, che come tutti i fossili influisce sul clima, in cambio di riduzione dei dazi su nostri prodotti”.

Nello specifico nel libro parla di una quadrupla sfida che definisce scientifica, filosofica, di comunicazione ma anche politica.

“Per prima affronto la sfida scientifica, di come cerchiamo, come scienziati, di approcciare questo grande cambiamento. Poi, essendo tutti nel nodo di una rete fatto di relazioni con la natura e altri uomini, parlo di quella filosofica: non possiamo più pensarla alla Cartesio con uomo padrone del mondo che trascende la natura solo perché essere intelligente ma dobbiamo agire per armonizzare la nostra dinamica con quella della natura. Poi narro la sfida comunicativa: il messaggio scientifico passa trasversalmente? La risposta è no, perché tra bolle, polarizzazione e manipolazioni oggi non funziona, quindi dobbiamo trovare soluzioni. Infine analizzo la sfida politica, in cui racconto anche la mia esperienza come coordinatore di Scienza al voto”.

Già, quanto è distante oggi il rapporto scienza-politica?

“C’è un grosso problema: la comunicazione a una via non funziona, intendo quella dove scienziati parlano e politici ascoltano o non ascoltano. Manca un dialogo efficace, a più vie, strutturato e magari istituzionalizzato: per esempio con un consiglio scientifico clima ambiente che porti a un rapporto paritario fra scienza e politica. Noi scienziati non vogliamo fare i politici, ma al contrario vogliamo tentare di fare un passo indietro nel tentativo di fornire alla politica misure e ventagli di strumenti davvero efficaci per frenare la crisi del clima che poi i politici possono e devono scegliere. Forse così la politica si accorgerà che il problema climatico non è ideologico, è reale. Che tu sia di sinistra o di destra la crisi del clima non cambia, negli scenari peggiori porterà comunque ad aumentare disuguaglianze sociali e crollo del Pil. Per cui abbandoniamo le ideologie e agiamo tutti insieme”.

E per riuscirci come dovremmo fare?

“Ripeto, cambiare mentalità. Non possiamo continuare a credere alla crescita infinita in un Pianeta finito, o pensare che la tecnologia risolva tutto o a trovare soluzioni additive. Nel nostro modello di sviluppo noi pensiamo sempre di aggiungere le cose, di aumentare le risorse. Spesso invece si potrebbe far bastare le risorse che ancora abbiamo andando a curare, a sistemare e proteggere”.

Delle emergenze climatiche in atto quale la spaventa di più?

“La perdita dei ghiacci è drammatica e da lì dipende l’inerzia del clima. I nostri ghiacciai alpini per esempio non sono in equilibrio con la temperatura che fa oggi sulle Alpi, ma rispondono ancora lentamente alla crescita di temperatura degli ultimi decenni. I nostri modelli mostrano come se anche la temperatura rimanesse quella che è ora loro al 2100 perderebbero un 30% di superficie. Adesso possiamo adattarci e proteggere parte delle risorse, ma con le tendenze in atto la temperatura non rimarrà tale e aumenterà: significa che perderemo il 90% di superficie a fine secolo. A quel punto non riusciremo più ad adattarci: dove finiranno tutte le risorse idriche della Pianura Padana? Questo ci fa capire come l’inerzia del clima è fondamentale e perciò come scienziati diciamo di fare in fretta: ma non c’è mai la sensazione che arrivino risposte”.

Risposte che tarderanno ulteriormente viste le politiche oscurantiste di Donald Trump.

“Oggi con l’ aumento degli eventi estremi visibili a tutti c’è più consapevolezza sulla sfida climatica, ma rimane la difficoltà di affrontare seriamente il problema perché interi stati fanno fake news e cresce il potere delle lobby industriali: è un momento brutto, complicato. Per noi che facciamo questo lavoro come scienziati è un momento di lotta proprio contro l’oscurantismo, la cancellazione dei dati o il negazionismo attuale come negli Usa. E poi il ritorno a nazionalismi e sovranismi è tragico per la questione climatica perché la si risolve solo con il multilateralismo. I ricchi del mondo pensano di poter vincere comunque da soli questa sfida e che a perdere saranno solo i poveri: ma non è così, siamo tutti sulla stessa barca e se non troviamo soluzioni affonderemo comunque tutti”.

Infine, dovesse sbilanciarsi ora, la vinceremo o la perderemo la sfida climatica?

“Non posso sbilanciarmi, è impossibile dirlo. Sa perché? Perché noi scienziati del clima facciamo scenari e per farli abbiamo le leggi della dinamica naturale, ma le leggi della dinamica umana sono al di fuori dei nostri modelli, non sono certe o prevedibili. Chi poteva per esempio prevedere le attuali politiche di Trump? Per questo non ho una risposta sicura, ma ho comunque una certezza: questa sfida riguarda tutti noi, nessuno escluso”.