Giovedì scorso, il Parlamento ha approvato un ordine del giorno, con parere favorevole del Governo, in cui si chiede di inserire lo stambecco tra le specie cacciabili. Le associazione ambientaliste, su tutte il Wwf, ritengono ingiustificabile l’intenzione di inserire “un animale fragile, che circa un secolo fa è stato portato sull’orlo dell’estinzione proprio a causa della caccia” tra le specie per cui è autorizzato il prelievo venatorio.
Le motivazioni addotte dalle associazioni dei cacciatori per cambiare la norma si fondano su un aumento costante della popolazione di Capra ibex sull’arco Alpino negli ultimi anni. Un po’ come accade per gli orsi, tuttavia, è lecito chiedersi se ha senso riprendere a uccidere degli animali che si sono reinseriti a fatica sulle Alpi, dalle quali erano scomparsi proprio a causa della caccia.
Per capire se il prelievo venatorio rappresenterebbe di nuovo una minaccia per la sopravvivenza della specie abbiamo chiesto il parere di Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica di Ispra e di Alice Brambilla, esperta di ecologia sperimentale, ricercatrice all’università di Zurigo e collaboratrice del Parco Gran Paradiso.
Genovesi conferma che lo stato di salute della popolazione di stambecchi sulle Alpi italiane è buono. “Dopo essere stato a un passo dall’estinzione nel corso del XIX secolo, lo stambecco è ora presente su tutto l’arco alpino, grazie a progetti di reintroduzione, e in Italia si stimano oltre 16mila esemplari. Se ci si basa soltanto sui numeri – prosegue il dirigente Ispra – un prelievo venatorio che segua regole ben precise potrebbe essere sostenibile“.
Lo stambecco, va precisato, viene cacciato in nazioni confinanti come la Svizzera, l’Austria e la Slovenia e anche in Italia la provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige lo ha reinserito nel calendario venatorio già nel 2017. L’Ispra ha approvato il piano altoatesino che prevede: “il prelievo di non più del 5% della consistenza primaverile riferita esclusivamente alla metapopolazione tra Passo Resia e Passo del Brennero, almeno fino a quando sarà riscontrato un incremento della popolazione stessa. Fino ad un massimo del 75% i prelievi saranno oggetto di utilizzo venatorio, mentre almeno il 25% sarà oggetto di cattura e di rilascio in altri habitat idonei. I prelievi venatori devono aver luogo nei mesi di ottobre e novembre, esclusivamente da parte di cacciatori appartenenti alla riserva di riferimento accompagnati da un guardiacaccia di professione”.
“La soglia del 5% – spiega Genovesi – è essenziale per garantire che il numero degli animali uccisi non superi l’incremento naturale della popolazione. Questo, ripeto, se ci si attiene ai numeri. Inoltre l’eventuale prelievo andrebbe attentamente bilanciato sia tra i due sessi sia tra gli adulti e i giovani, in modo da non alterare la struttura naturale delle popolazioni. Tuttavia – continua – lo stambecco è una delle specie che più risentono degli effetti della crisi climatica. L’aumento delle temperature sta riducendo in maniera drastica i loro habitat e la qualità dei pascoli proprio nel momento in cui i piccoli sono svezzati. Inoltre, con il caldo i pastori portano le capre a quote sempre maggiori, in zone che un tempo erano frequentate esclusivamente dagli stambecchi, e questo aumenta il rischio di ibridazione e di trasmissione di patologie”.
Anche Alice Brambilla sottolinea come la popolazione di stambecchi, per quanto in aumento, è sottoposta a nuove minacce. “Seppure il numero di stambecchi sia cresciuto in tutto l’arco alpino, la loro popolazione è ancora molto frammentata. Il progetto di conservazione che li ha salvati dall’estinzione è ancora relativamente nuovo, servono dati più precisi per comprendere in che modo la specie si sta adattando al cambio climatico“.
Il problema principale, tuttavia (ed è questo l’ambito specifico di studio di Brambilla) è la varietà genetica della popolazione di Capra ibex. “Lo stambecco delle Alpi – argomenta la ricercatrice – ha una varietà genetica molto bassa, per cui qualsiasi animale si sottragga alla sua popolazione rimuove elementi di variabilità che potrebbero essere utili per la resilienza al cambio climatico. In altre parole, – conclude – non sono i numeri che possono indicarci se lo stambecco è a rischio. A nostro avviso la rimozione di animali al di fuori degli eventi naturali è comunque da evitare“.